Trump: il grande calcio nel c…o al progressismo
Solo delle riflessioni a caldo.
Quando ho scoperto che Donald Trump è il nuovo presidente Usa, ho avvertito un leggero solletico stuzzicante. Un tuffo di pancia, come la copertina del New Yorker di questa mattina. Un tuffo di pancia come quello di Trump che sbaraglia anche i suoi stessi amichetti repubblicani che lo hanno lasciato a piedi, vedi il sindaco di Miami.
Oh sì, magnifica goduria nel vedere frenata la spocchia degli illuminati democratici. Quella dei ricatti e degli stereotipi.
Trump era stato lasciato a piedi. Certo non sarà il più affascinante, con quel vecchio gatto persiano adagiato sulla testa, con quel savoir-faire un po’ spaccone, seppur molto determinato. Non sarà il più affascinante ma era stato lasciato a piedi. Relegato come rozzo razzista, maschio maschilista, nuovo Adolf Hitler, incapace di dare un futuro agli Usa, nonostante quel suo motto: make America great again.
Make America great again, a partire dalla vittoria. Ormai suggellata, sulla candida bella mente iuessei Hillary Clinton, moglie di tanto marito. Make America great again a partire dalla riscoperta dell’identità e della democrazia, riassumibili in due frasi chiave già pervenute alle nostre orecchie in queste prime ore: “sarò il presidente di tutti gli americani (…) torniamo ad essere uniti”, renderemo grande l’America da un lato, quindi, e dall’altro “Vox populi, vox dei”, la voce del popolo è quella di Dio; sì, esatto, suona strano per noi italiani che non ci siamo più abituati. Make America great again a partire dalla campagna elettorale tra le più brutte della storia: morsicata, incattivita, teatrale – non che sia una novità negli States -, personale, viscerale. Make America great again a partire dal calcio in der culen che, finalmente, il progressismo mondiale e il politically correct – vedi la posizione Trumpiana sull’immigrazione ad esempio – ha preso, frenato proprio da una premura nazionale e da un protezionismo – non solo economico – che Trump vorrebbe tornare a ristabilire per i suoi USA. Il coraggio di sostenere la classe media, motore di una grande potenza Occidentale, non tassando solo i ricchi, ricchi per davvero, come voleva Hillary, ma abbattendo la pressione fiscale proprio per quella fetta che l’America la incarna, la rappresenta, la simboleggia; imporre una sorta di flat tax sui redditi d’impresa, rilanciare l’impantanata economia USA per cercare di garantire circa 25 milioni di posti di lavoro in dieci anni. Si può tornare a dire certe cose in questo grande e annichilito mondo malato di Alzheimer? Make America great again a partire da un senso isolazionista e, insieme, di apertura nei confronti della Russia di Putin. Prima gli USA poi il resto del mondo: “E’ ora che l’America cessi di spendere tutte le proprie energie in pantani internazionali. Gli Stati Uniti dovrebbero intervenire solo e unicamente per la risoluzione di problemi comuni da risolvere con il supporto di tutte quelle entità, statali o economiche che siano, in grado di muoversi unidirezionalmente verso un obiettivo condiviso”, ebbe a dire qualche mese fa. Il nuovo presidente non è Nato, ma sboccerà. Il mondo smetterà, lentamente, di essere il parco giochi di mamma Usa: “L’altra frattura è dentro l’establishment. Le élite americane sono diventate autoreferenziali, prive di contatto con il Paese reale e troppo ricche per restare eque. Il meccanismo di selezione di queste élite si è inceppato o più probabilmente è marcito: un’America che elegge Bush padre e poi Bush figlio e che ora propone come presidente la moglie dell’ex presidente Clinton denota gli stessi difetti dell’aristocrazia europea, quella – per intenderci – spazzata via dalla Rivoluzione francese. Le email diffuse da Wikileaks e dalle indiscrezioni sulla Fondazione Clinton svelano la metà nascosta del potere, fatto di corruzione implicita e talvolta esplicita, scambi di favori tra potenti, asservimento della stampa, logiche di clan, perseguimento di agende segrete troppo distanti da quelle proclamate in pubblico. Come può essere credibile una famiglia, quella dei Clinton, che di fatto barattava colloqui personali – a quanto pare anche al Dipartimento di Stato – e comparsate a convegni a colpi di donazioni milionarie alla propria Fondazione? Donazioni che provenivano anche da Paesi inqualificabili? Tramite Assange abbiamo saputo che a volere la caduta di Gheddafi non è stato l’ex presidente francese Sarkozy, come ipotizzato finora, ma Hillary e contro addirittura la volontà di Obama. Ecco perché quando ci si chiede quale sia il candidato migliore, io rispondo che bisogna chiedersi quale sia quello meno scadente e meno pericoloso per noi europei”, scrive Marcello Foa sul suo blog.
Certo, da suddito poco mi cambia. Forse, staremo a vedere. Ma il sentore che il pensiero unico dominante – nella direzione morale, massificante ed economica – abbia preso una bella pizza a mano aperta, quantomeno, mi sollazza. Soprattutto verso la campagna denigratoria monolitica imposta verso di lui – di sicuro Madonna sarà rimasta a bocca aperta. Ma come non ricordare lo star system americano, tutto ipocritamente unito verso Hillary Clinton? Scrive Maurizio Acerbi sul Giornale: “E adesso come la mettiamo con tutti gli endorsement dei divi di Hollywood? Con la lista delle 167 star che hanno appoggiato pubblicamente la Clinton, la candidata alla Casa Bianca con il maggior numero di testimonial della storia? Le stelle, per quattro anni, staranno a guardare, interrogandosi sul loro reale appeal sulla gente, pari a zero. Da DiCaprio a Clooney, da De Niro a Hoffman, da Damon a Penn (e mi fermo qua), tutti hanno fatto a gara per salire sul carro del presunto vincitore, ritrovandosi a piedi. A questi, aggiungeteci i “grandi elettori” del mondo musicale (Madonna, tanto per citarne uno) e vedrete che lo scorsa notte si è materializzata una verità ai più invisa: lo star system conta in politica, come il due di coppe quando la briscola è bastoni. A cosa è servito mandare messaggi sempre più espliciti e meno subliminali nei film?” – .
La bellezza nel vedere rispettata la libertà intellettuale degli americani che hanno scelto liberamente, contro tutto, contro tutti, contro il sistema dei sondaggi e delle previsioni dei potenti sciamani del mondo dei mass media, appunto, e democraticamente chi doveva essere il proprio 45esimo presidente, è una ventata d’aria fresca verso il putrido e marcescente puzzo oligarchico che, giusto da qualche anno, sta invadendo il mondo sotto e sopra, tenendolo in ostaggio con scelte perverse nelle alleanze mondiali, nella gestione delle società, capaci di intaccare profondamente ogni valore morale fondante alla base dell’Occidente.
Il mito del progresso subirà una botta d’arresto? Le élite arretreranno? Il mito democratico senza confini, senza Dio, senza Patria, armato di Ius soli e tanta dovrà ridimensionarsi? Maria Elena Boschi starà piangendo nei bagni di un Autogrill? Tremerà l’Europa dei tecnocrati? La fiamma di Trump squaglierà la plastica? Me lo auguro.