Per fermare Veneziani ci vuole ben più di un rigurgitino antifascista
Veneziani non lo fermate. Veneziani ve lo sognate. Perché nelle piccole spese fallisce un’azienda; ed esattamente per lo stesso processo, sono le cose semplici a reggere l’universo, dall’atomo al grazie. E in queste cose semplici sta l’uomo e non la sua proiezione.
Perché a 60 anni rimettersi ora le scarpe da corsa, ora quelle con i chiodi per la montagna, per scavalcare le collinacce aspre di questa terra testarda come i costoni di travertino che sorreggono il paese in cui sono cresciuto, o scalare il pregiudizio, la standardizzazione dell’Italia, la noia psicotica dell’egemonia culturale imperante, il pericolo del nichilismo, della dimenticanza progressiva, e girare, girare, girare l’Italia senza mai perdere la bussola non è da tutti; come un emissario nuovo, come Paul Revere che annunciava la guerra per preparare gli eserciti, come un profeta dell’incredibile illusione e del Ritorno. I signori buoni(sti) dei salotti buoni, uno così se lo sognano. E continuino a sognarselo di notte, finito l’effetto del Caviale.
Uno che ha scritto una Lettera agli italiani e gliel’ ha portata di persona, con un Comizio d’amore, quando neanche il Premier, se non dovesse per cerimonia, si alzerebbe in volo con l’elicottero del feudatario per toccargli la mano, a questi poveri appestati.
Evidentemente le pashmine arcobaleno stringevano troppo il collo. Cosa è successo? Ve lo dice direttamente Veneziani: “Mi invitano a presentare a metà giugno il mio libro Alla luce del Mito a Siracusa in occasione delle tragedie greche rappresentate al Teatro. Qualcuno, non so chi, inserisce la mia conferenza dopo un seminario nazionale di psicanalisti del Cipa. Non vi dico che succede. Il clero degli analisti riuniti in una Congregazione del sant’Uffizio delibera l’ostracismo e scrive: “Marcello Veneziani è un ideologo dell’estrema destra, influenzato dal pensiero di Julius Evola, interprete di una retorica dogmatica che si colloca agli antipodi della ricerca scientifica in psicologia analitica… Consideriamo la sua partecipazione una pubblicità controproducente per la nostra disciplina e per la credibilità del progetto culturale che abbiamo in comune”.
Apriti cielo. Chi invita alla militanza antifascista e manda “saluti antifascisti” ai suoi compagni analisti, che intanto si erano stretti intorno alla censura “scritta”, novelli Torquemada. Chi ringrazia i compagni: “per aver dato voce al moto di protesta per la partecipazione di un personaggio come Veneziani”. “All’appello militante al valoroso popolo analitico antifascista si sottraggono solo in due o tre”, come fa presente lo scrittore. Tra cui lo stimato Umberto Galimberti. Un signore. Uno che a questa inutile pippa retorica ha risposto: “Marcello Veneziani, per me, è un pensatore di destra molto serio e intelligente. Ho letto da sempre i suoi libri, compreso l’ultimo, Alla luce del mito (Marsilio) che ho trovato a tal punto interessante da citarlo nella mia rubrica del sabato “D. La Repubblica delle donne”. Mi spiace che da parte della società analitica a cui appartengo abbia subito un simile rifiuto”. E prosegue: “Karl Jaspers, il più grande psicopatologo del Novecento…insieme a Romano Guardini fu incaricato dal Comando Americano di giudicare la posizione di Heidegger, sospeso dall’insegnamento per le sue simpatie naziste, scrisse: “Sì, Heidegger a livello universitario e culturale ha collaborato con il nazismo, ma se togliete Heidegger dall’insegnamento, private l’Europa del più grande pensatore di questa prima metà del secolo”. E conclude: “Ho scritto tre libri su Heidegger e il Cipa non mi ha cacciato. Ora evitiamo di diventare un tribunale di inquisizione che stabilisce chi è nel giusto e chi no. Apriamoci e parliamo con tutti. Se in Italia la destra avesse interlocutori all’altezza di Marcello Veneziani, forse anche in Italia, per il tempo in cui la destra era al governo senza governare, forse non ci troveremmo ultimi in Europa su molti fronti”. E si firma così: “Umberto Galimberti che ha sempre votato PCI e i suoi derivati”.
Serve aggiungere altro?
L’ho visto Veneziani – avendo avuto la fortuna di viverlo molto da vicino, negli anni in cui si ha l’anima morbida – con questi occhi, non fermarsi un attimo al tempo, al meteo, alla disperazione di un tempo idiota e controproducente. Alla chiacchiera, alla bassezza, alla poca eleganza. Non l’ho visto fermarsi mai, né cadere nello stereotipo o prestare il fianco alle polemiche gratuite; ha preso le chiavi della torre d’avorio in cima al Monte Bianco e le ha buttate in un tombino, probabilmente a Genova, o a Palermo, o a Roma – chi può dirlo -. Anzi, quella torre d’avorio, si bianca e intonsa, sta ancora là che aspetta qualcuno che, invece, la riempia di tappeti, di libri e di gorgheggi d’autosollazzo, causa inutilizzo.
Credete, dunque, di fermare Marcello Veneziani con una figurina dei peggiori anni ’70 e continuare ad essere i profeti della tolleranza, dell’emancipazione umana e culturale, dell’accoglienza e della libertà? Magari mentre parlate di quanto vada bene tutto, ma avere frotte di migranti in città, in fondo, non va poi così bene, perché ne rovinerebbe l’appeal, come a Capalbio, perché distrarrebbe dalle serate di poesia ortogonale della Mongolia, mentre si guarda il corto più triste di Ėjzenštejn? Uno che “alla sua età” – non me ne voglia, sa che sto scherzando, sa che per me non è stato un maestro, ma un fratello maggiore, come li chiamerebbe lui; che ha gli stessi anni di mio padre – lo trovi su un palco a Napoli, a Roma, poi a Milano, a Barletta e poi a Castiglion Fiorentino, nella maestosa terra aretina, a monologare il suo amore per gli italiani, per tentare di svegliarli dal sonno mediatico; non gli ha mandato una mail, è partito di persona per calcare il palcoscenico e monologare, dialogare, far ridere riflettendo, far riflettere ridendo, far piangere pensando, sul fatto che la Bellezza dinamica d’Italia, femmina selvatica, non è un museo da andare a visitare la domenica con la famiglia nei giorni di crisi, non è lo starter pack di un’istituzione, ma la danza antica, il sangue degli eroi che hanno fecondato i campi, il coraggio degli ultimi, la faccia degli stronzi, la giornata di lavoro, le cicale che cantano intorno ad un trullo. Il marmo delle nostre città; la nostra forza è la nostra Bellezza artistica, vitale, umanistica ed umana, e viceversa, fari accesi sul mediterraneo prima che sia troppo tardi, come adesso, che si sta facendo buio. Partire, andare. Scrivere, partire, andare. Potrà sembrare poca cosa; ma nell’epoca in cui i padroni odiano i sudditi, è un atto d’amore esemplare.
E dunque, signore, signori, fermi alle occupazioni di una facoltà, pensate con così poco di fermare Veneziani? Un documentino, un abbaio alla luna?
Allora ve lo dico. Fermerete le idee con la parvenza del migliore dei mondi possibili, rassomigliante invece al peggior bar di provincia, quello con la puttana che si mette il rossetto, dove si parla sempre delle stesse cose, e dove la vita degli altri non vale un cazzo; fermerete l’illusione di un tempo che è stato, la cristallizzerete. Potrete fermare un tir col pregiudizio, per farvi fare la carezza dai padroni e sentirvi, ancora una volta, bravi trinariciuti. Ma non potrete fermare l’uomo, il vitalismo, il senso di una vita spesa in battaglia, il dolce canto ruggente della nostalgia e dei suoi migliori cantori, tra cui Marcello Veneziani.
La sua umanità contro la vostra plastica. La sua onestà intellettuale non varrà quanto uno dei vostri attestati.
Terminando con le sue parole in merito: “Che dire? Nulla, per essere omeopatici alle nullità in oggetto. Sono stanco di queste cose, stanco di denunciarle, stanco pure del vittimismo; lunga sarebbe la storia di discriminazioni e ostracismi tra giornali, tv, università, premi, festival (proprio in questi giorni sono stato depennato prima dalla fiera del libro milanese e poi dal salone torinese). Tanto più che a mia volta non ho mai negato la parola a nessuno, dialogo con tutti, rispetto chi ha idee diverse, opposte alle mie… Ma sono stanco, non ho più voglia reagire a queste cose, di indignarmi, preferisco occuparmi d’altro. Provo pena, amarezza e schifo”