L’unica maglietta rossa che riconosco è quella dei Vigili del Fuoco. I simboli che muoiono, l’inefficacia populista e la follia progressista
Un prodromo necessario per entrare nel tempio del buonsenso, le cui sfumature coglierete nel corso di queste righe. L’unica maglietta rossa che mi parla di vita, l’unica capace di proteggere il buono degli uomini, l’unica che può fermare l’emorragia di umanità è quella ritratta in questa foto (tratta da Modenatoday), quella dei Vigili del Fuoco.
Guardate questa foto e chiedetevi ciò che evoca. Ciò che vi evoca. A cosa vi fa pensare se non a un senso continuo dell’esistenza.
Perché in queste poche lettere iniziali vi sia una riflessione, una provocazione, un invito a raccogliere i simboli e incarnarvi negli stessi.
Simboli. Abbiamo impiegato secoli a riassumerci in un segnale, a costruire simboli che potessero parlare di noi, parlare per noi, giustificare la nostra esistenza, testimoniare ogni nostra battaglia, e poi, con la stupidità torrenziale di questo nostro tempo ingrato, delittuoso, voluttuoso, presuntuoso, c’abbiamo messo giusto qualche anno a distruggerli, nel nome di un’imprecisata ed evanescente motivazione egotistica.
La rabbia sociale esplosa nell’era tecnica (iniziata con Monti, e proseguita fino a qualche mese fa), ha caricato di rabbia cieca questa nostra gente d’Italia. Ed è risaputo che la rabbia soffoca la ragione. Ha sviluppato un populismo clitorideo, ovvero capace di generare ira e contrapposizione automatica al minimo sfioramento. Un orgasmo liberatorio che pesca, magari, anche nella giustezza di certi valori, riflessioni e comportamenti, ma lo fa per reazione involontaria, per antitesi a serramanico, non per un pieno e cosciente sviluppo del pensiero, di UN pensiero critico, “ideologico”, quindi strutturato e capace di poggiare su basi culturali, spirituali, visionarie, storiche, insomma identitarie, del populismo. Che pure ha un’immagine di mondo, ma è totalmente basata sugli impulsi (popolari) del presente. Curioso, però, è che l’alternativa che viene richiesta per sopravvivere al mondo globale, multiculturale, sconfessato, polisessuale, etc., ovvero alla cavalcata del progressismo, non può essere l’antitesi rabbiosa a ciò che esso propone, tout court. Va bene che il livello di questo Paese, ormai, è sceso in cantina, ma se i progressisti indossano una maglietta rossa per i migranti, Giorgia Meloni non può indossare una maglietta azzurra per i poveri ed è fatta la rivoluzione per like e acclamazione! È troppo poco, non basta. Ovvio, direte voi. Non può bastare a fornire una contrapposizione alternativa e reale che inverta la direzione di questo mondo fradicio e che si sta autosfracellando. Non basta, ma ora basta! Perché, dalle “nostre parti” è una continua lamentela, un continuo frignare disgrazia e necessità di cambiare le cose. E allora è lecito chiedere un maggiore SFORZO per attuare una visione antitetica al progressismo, e alle sue componenti, oppure no?
Se vogliono conviverci che i nostri figli in futuro non avranno sesso biologico, per combattere questa tesi, eccetto qualche bravo pensatore sempre escluso dal grande giro, dalla grande visibilità, a cui in pochi danno ascolto, non possiamo prendere un bambino e tirargli giù le mutandine in prima pagina per dimostrare che un sesso ce l’ha eccome, e per natura. Occorre di più. Occorre, almeno, una bomba ideologica innescata culturalmente che comprenda ragionamenti spirituali, religiosi, che contrapponga il cristianesimo, inclinazioni e precetti d’identità antropologica, storica, di costume, che comprenda concetti più alti come il pudore o il necessario senso della vita su ogni cosa, in ogni tempo. Bisogna estirpare certe piantacce infestanti, non basta strapparle dal terreno. Ricresceranno.
La società di massa non vuole cultura, ma svago. Affermava Hanna Arendt.
Rosso contro blu. È un esempio. Si parla per simboli. Che, però, non riassumono più in sé una storia fondante, un movente e un linguaggio specifico, ma il massimo risultato tra “mediaticità” e forza d’impatto su chi ascolta, nella volontà di proliferare politicamente. Crescere, crescere, crescere!
Il populismo non ha intellettuali perché non servono. Chiunque in una fase rabbiosa puó ergersi a mente pensante, o meglio rispondente. Il populismo sostituisce gli intellettuali con i “rispondenti”, anzitutto per la volontà di non portarsi dietro fardelli e viaggiare leggero, e quindi non in necessità di avere dei traduttori di significati, dei generatori di visioni, dei dotti della storia passata che codificano un’identità presente, creando legami virtuosi, che serve per giungere al futuro e fare una rivoluzione culturale, ciò che gli intellettuali, i pensatori sono. Il populismo è un cerotto su un’escoriazione rosso sanguine.
Ma gli intellettuali non progressisti fermi non ci sanno stare. E nel proprio agire, assieme a menti pensanti, giornalisti, commentatori TV, non fanno altro che cadere nella trappola della sterilità imposta dalla compagine avversaria. Disinnescati, troppo spesso. Perpetrare il loop A – B. A pone un problema (magliette rosse, anagrafe antifascista di Stazzema, per citarne due), B risponde, anziché sforzarsi di rompere questo loop in cui è incatenato e cercare una valida alternativa a questo sistema (e quindi ecco, la maglietta azzurra per i poveri, della Meloni, è un fantomatico anagrafe anticomunista, in risposta a quello antifascista).
Rompi il loop, romperai il muro di questo tempo dannato, che andrebbe distrutto solo a suon di bastonate, altro che…
(foto in evidenza, Quarto Elemento Tv)