Di Elena Luraghi

@elena.luraghi

 

Nella città che corre, non vi viene mai voglia di rallentare e per un attimo riportare le lancette dell’orologio al passato, ricordando, sempre per un attimo, com’era bella Milano anche prima di diventare la metropoli moderna e cosmopolita che ha incantato il mondo? In pieno centro, alcuni luoghi trattengono più di altri frammenti preziosi di memoria. Uno è il celebre Teatro alla Scala che inaugura fra poco la stagione nel tradizionale giorno di Sant’Ambrogio, l’altro è il Grand Hotel et de Milan in via Manzoni, e sono strettamente legati.

 

Oltre 150 anni di storia

Li porta bene, i suoi anni, questo hotel-icona dell’alta ospitalità meneghina, membro di The Leading Hotels of the World. Dall’ingresso elegante su via Manzoni, passato lo scalone a spirale in ferro battuto si entra in una sala coperta da un lucernario dove l’interior, firmato Dimorestudio, fonde con garbo anima antica e gusto contemporaneo. Lì la proprietaria Daniela Bertazzoni saluta gli ospiti in compagnia della figlia Alissia, svelando aneddoti e perle di storia. «Un tempo questo era il salotto di Milano, da qui sono passati artisti e divi del cinema, da Vittorio De Sica a Maria Callas, Caruso, Nureyev», racconta. Nelle suite che portano ancora i nomi di quegli ospiti famosi oggi arrivano celebrities come Jannik Sinner e Patty Smith, quest’ultima habitué della suite Giuseppe Verdi, dove il grande maestro ha vissuto per quasi trent’anni. Da allora l’amore per la musica e per l’opera attraversano come leit motiv le sue stanze. Il Teatro alla Scala, del resto, è lì a due passi (674 per la precisione).

 

Il dietro le quinte del Teatro

Alla Scala gli ospiti del Grand hanno la possibilità di assistere a qualcosa di unico: un tour privato dietro le quinte, camminando in punta di piedi nel foyer ricoperto di marmi ed entrano nei famosi palchi dorati – da quello reale, al centro, al palco più antico a sinistra del palcoscenico, pieno di boiserie, specchi ottocenteschi e perfino un caminetto. Si sbircia nella buca del suggeritore e nel backstage dove i fondali scorrono su e giù per essere sicuri che tutto sia pronto in vista della Prima, si visitano la torre scenica, il loggione, le gallerie. Poi si torna in hotel per cenare al Don Carlos, oggi ritornato come era un tempo, con le pareti verdi e rosse ricoperte di quadri e bozzetti provenienti dal Museo del Teatro alla Scala e il menu presentato in atti, come una vera opera culinaria.

 

L’eleganza a tavola

Riaperto da poco, lo storico Don Carlos è un tuffo nel passato. Porcellane preziose e candelabri d’argento fanno da contorno a piatti raffinati e molto italiani, come i casoncelli e la sogliola alla mugnaia. Fra le incursioni nella tradizione, imperdibili gli spaghetti meatball di cui andava ghiotto il tenore Enrico Caruso, mantecati al tavolo e da gustare con la speciale forchetta dai lembi più larghi, uguale a quella un tempo creata ad hoc per il maestro, che così poteva raccoglierne una quantità maggiore in un solo boccone. Sempre all’insegna del rituale, il bicchierino d’assenzio servito dopo cena, insieme al cioccolato Domori portato a tavola sul carrello dei dolci, è il degno epilogo della serata. Grande cucina e fascino d’antan, e una ritualità che fino a non molto tempo fa si pensava perduta.

 

La doppia offerta gastronomica del Grand

I menu dei due ristoranti del Grand, Don Carlos e Caruso Nuovo Bistrot (scenografico e luminoso, affacciato con una veranda su piazzetta Croce Rossa), sono firmati da Gennaro Esposito, due stelle Michelin nel suo ristorante Torre del Saracino a Vico Equense e qui mentore del giovane executive Francesco Potenza, capace come pochi di mescolare spirito meneghino e freschezza campana. De rigueur l’aperitivo al Gerry’s Bar, fra grandi vini e ottimi mixology serviti allo storico bancone dove un tempo si sedevano Luchino Visconti e Richard Burton. L’aperitivo volendo si fa anche in cantina, qualche metro sottoterra, dove le 400 bottiglie selezionate dal maître e sommelier Davide De Benedetto riposano accanto alle rovine di un muro romano del 250 d.C. Dicono che toccarlo porti fortuna, e raramente gli ospiti si trattengono dal farlo.

 

Un décor raffinato

Inaugurato nel 1863 su progetto di Andrea Pizzala, bombardato durante la guerra e ricostruito da Giovanni Muzio, il Grand Hotel et de Milan negli spazi comuni porta ora l’imprinting decorativo di Britt Moran ed Emiliano Salci di Dimorestudio. Più tradizionali, le 72 camere e 23 suite resistono alle mode e mettono in scena la grandeur storica, rinfrescata però da Dimorestudio con tessuti garbati, velluti, decorazioni floreali. Il perfetto sfondo per i mobili d’epoca e gli oggetti, quasi cimeli, sui quali negli anni hanno posato lo sguardo Caruso, D’Annunzio, Richard Burton e Tamara de Lempicka. La più ambita rimane la suite Giuseppe Verdi, con il letto a baldacchino e il caminetto in marmo nel salotto inondato dalla luce naturale che penetra dalle grandi finestre affacciate su via Manzoni. Oggi lì sferragliano i tram, un tempo c’erano solo cavalli e carrozze, e si narra che quando il maestro si ammalò, i milanesi cosparsero la via di paglia affinché gli zoccoli dei cavalli non lo disturbassero durante il sonno. Una delle tante, romantiche storie dell’hotel più antico di Milano.

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