Buffon 01

L’Italia è preda dello psicodramma, quasi non si parla (e non ci si infuria) per altro, se non per l’avvenuta (e meritata per ammissione dei giocatori stessi) esclusione dai prossimi Mondiali. Sembra che il Paese orbo del pallone e spogliato della maglia azzurra non abbia occhi per trovare la strada né vestiti per evitare i geloni dell’inverno.

Lo sport nazionale di improvvisarsi commissari tecnici è tornato di gran moda nei bar (e non solo), la priorità è ora vedere detronizzare questo o quello della Federazione e innalzare quest’altro come fosse una sorta di oracolo, di Warren Buffett o meglio di Cincinnato cui affidare le sorti (e l’orgoglio) non (come sarebbe logico) della Nazionale dello sport prevalente della nostro Paese ma dell’intera nazione (termine qui da intendersi nella sua accezione Ottocentesco di un Paese «uno di lingue, di cuore e di altar (sportivo ndr)».

Si obietterà che il calcio è verace passione, che il tifo è l’oppio che il popolo “aspira” per consolarsi dei propri malanni, delle proprie difficoltà, economiche, sociali, familiari, professionali. Questo è certamente vero ma forse basterebbe dire che malgrado la nostra civiltà abbia sulle spalle due millenni in più poco è cambiato dalla politica del panem et circenses di Vespasiano a Tito nella Roma del Colosseo (era il primo secolo dopo Cristo). Perché gli italiani più si dolgono (e si indignano) degli errori di Gian Piero Ventura, più condividono le lacrime di Gigi Buffon a fine carriera, rispetto a quanto si siano interrogati e hanno protestato per crac della portata di Cirio e Parmalat, per i miliardi sborsati direttamente o indirettamente dallo Stato per evitare il bail-in prima di Banca Etruria & C. poi di Monte Paschi, Veneto Banca, Popolare Vicenza. Denaro, giova ricordarlo, sborsato dagli stessi contribuenti che ora piangono per la cosiddetta catastrofe, l’apocalisse degli undici Azzurri al Meazza.

Lavoro 04

E’ il denaro degli stessi italiani alle prese con una disoccupazione giovanile al 35% e che vedono la loro pensione ormai proiettata allo soglia dei 70 anni, a causa di un Paese dove la ripresina economica è solo una fioca fiammella e dove gli investimenti delle multinazionali cadono con il contagocce. Dopo la letteraccia minacciata dalla Unione Europea sulla legge di Bilancio del governo Gentiloni, l’ultima a ribadire che c’è poco da stare allegri, è stata Standard & Poor’s: l’economia dell’Italia «è in ripresa dopo sei anni di stagnazione ma la strada per il recupero potrebbe essere ancora lunga».

Si dirà che proprio perchè questa è la situazione del nostro Paese e il governo non è in grado di proporre alcuna soluzione credibile, meglio chiudere gli occhi e vestirsi tutti con la tuta da commissario tecnico della Nazionale. Tanto peggio che con Ventura, l’Italia del calcio non può fare.

Resta però il fatto quando finirà il potere di Mario Draghi alla Bce, e finirà il programma di aiuti del Qe, l’Italia e gli italiani dovranno pagare i conti (quelli veri) dei mancati investimenti pubblici nelle infrastrutture, di un mercato immobiliare che resta imbalsamato malgrado i tassi dei mutui siano appunto tenuti rasoterra dalla pressa dell’Eurotower, di una produzione industriale che non convince, di un debito pubblico indomabile tanto da risalire a settembre a 2.283 miliardi: 4,4 miliardi di rosso in più rispetto ad agosto, malgrado le nuove emissioni di debito pubblico diano cedole all’osso. La stretta sulle nuove sofferenze bancarie decisa dalla Vigilanza Unica che ha rimandato a picco le quotazioni di alcune banche italiane insieme ai risparmi dei loro azionisti, è solo un assaggio. E a quel punto il rischio di non avere più neppure la tuta e di ritrovarsi in boxer (quelle che la nonna chiamava le braghette di tela) e calzini.

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Ma il popolo del calcio avrà riavuto (forse) la sua Nazionale. E (forse) se ne sarà andato lo stesso Ventura che, un po’ come quella politica che è abituata a dichiararsi sempre (e comunque) vincitrice dopo una tornata elettorale indipendentemente dal reale risultato delle urne, si è autoproclamato al «tribunale» de «Le Iene» il miglior allenatore degli ultimi 40 anni. Certo, a molti (anche a chi non ama il calcio) dispiacerà di non avere occasioni per stare insieme l’estate prossima guardando i mondiali la tv, a molti (anche a chi non ama il calcio) dispiacerà non avere occasione per dimenticare per due ore i problemi quotidiani improvvisandosi commissari tecnici. Ci toccherà solo ricordare che viviamo nella «Terra dei Cachi».

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Wall & Street

 

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