#Bankitalia, le #fakenews di #Renzi
«Il problema delle banche non era il Pd. La commissione d’inchiesta ieri lo ha dimostrato: avevamo ragione noi, qualcosa non ha funzionato». Era tutto gongolante stamattina su Radio Capital il segretario dem, Matteo Renzi, dopo che ieri il procuratore capo di Arezzo, Roberto Rossi, ha dichiarato durante l’audizione in commissione d’inchiesta sulle banche non solo che l’ex vicepresidente di Banca Etruria, Pier Luigi Boschi (padre del sottosegretario Maria Elena), non ha mai partecipato a delibere che abbiano concorso a determinare lo stato di insolvenza, ma anche che «è sembrato un poco strano» che la la Banca d’Italia ne avesse caldeggiato l’integrazione con Banca Popolare di Vicenza che versava anch’essa in condizioni critiche.
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«Non sono euforico per quel che è successo ieri – continua il segretario dem – Ma il tempo è galantuomo. Chi è intellettualmente onesto deve riconoscere che la battaglia che avevamo fatto non era basata su simpatie e antipatie ma su dati di fatto. Noi non abbiamo commesso nessun pasticcio. E non abbiamo alcuna esigenza di riaprire la discussione né le polemiche su Bankitalia. Il Pd esce a testa alta».
L’ordine di scuderia impartito ai suoi – nonché ai giornalisti amici – è stato quello di continuare a sparare ad alzo zero su Palazzo Koch imputando all’organo di vigilanza bancaria il fallimento della piccola popolare toscana il cui stato di decozione sarebbe stato trascurato. Come si può ascoltare nel video Renzi neha anche per la Consob ritenuta corresponsabile dei dissesti in quanto avrebbe consentito ad alcune banche poi fallite di emettere strumenti finanziari che con il bail in hanno determinato il salasso dei risparmiatori.
Insomma, un fritto misto indigesto di ovvietà e di populismo per portare la barbarie politica del renzismo anche ai livelli più alti delle istituzioni finanziarie. Diciamocelo, una tecnica di disinformatija bella e buona, anzi per essere al passo con i tempi possiamo parlare di fake news. E, poiché una menzogna ben raccontata può diventare una verità, è d’obbligo un’analisi dei fatti
Le dichiarazioni in audizione di Rossi sono parzialmente inficiate dal suo conflitto di interessi. Il procuratore aretino è stato consulente del dipartimento Affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi quando Matteo Renzi era presidente del Consiglio e quando quella struttura era retta dalla renzianissima Antonella Manzione, l’ex capo dei Vigili urbani di Firenze con Renzi sindaco. In quello stesso periodo la Procura di Arezzo aveva iniziato a indagare su Banca Etruria. Il Csm ha ritenuto che il magistrato abbia svolto diligentemente il proprio incarico e non ne ha disposto il trasferimento, come d’uopo in casi analoghi. Va anche detto che il funzionamento del Csm si basa anche su meccanismi politici e non solo tecnici.
Bankitalia ha sempre precisato di non aver «mai sostenuto il matrimonio con popolare di Vicenza in quanto «dopo le ispezioni del 2013, e le irregolarità emerse ha chiesto a Etruria di adottare una serie di misure correttive e di ricercare l’aggregazione con un partner di elevato standing», che non poteva essere la periclitante popolare vicentina di Gianni Zonin. Ma nessun grande gruppo bancario volle integrarsi con la popolare aretina perché la scarsa qualità del credito concesso (cioè il mucchio di sofferenze in pancia) ne avrebbe minato la stabilità patrimoniale alla vigilia dell’AQR della Bce.
Sugli esiti delle ispezioni di Bankitalia vi è il segreto d’ufficio. Ove emergano irregolarità le Procure della Repubblica competenti ne sono immediatamente informate affinché possano esercitare l’azione penale. Le Procure di Roma, Milano, Vicenza, Siena, Arezzo, Chieti e Ancona stanno indagando sui crac proprio sulla base dei documenti forniti da Via Nazionale. La commissione d’inchiesta parlamentare ha evidenziato, però, che lo scambio di informazioni con Consob non è stato efficace. Si tratta, però, di dichiarazioni testimoniali (la parola di uno contro l’altro). Gli atti, al momento, non corroborano completamente l’ipotesi.
Ovviamente,come sottolineato nell’editoriale odierno di Massimo Giannini su Repubblica, il modus operandi di Bankitalia non si può non mettere in discussione. In molte crisi bancarie Palazzo Koch ha agito con la rapidità di un tardigrado, anche se vi è un’attenuante. Poiché la vigilanza sulle banche sistemiche è passata in capo alla Bce, il governatore non ha più poteri di moral suasion nei confronti degli istituti maggiori affinché mettano in sicurezza con una fusione quelli più piccoli quando si verificano casi di dissesto.
Si è rilevato, quindi, che le istituzioni finanziarie italiane hanno avuto uno scarso potere di interdizione nel contrastare gli effetti della crisi su banche già provate da anni di mala gestione (sulle quali la vigilanza, come visto, non è stata omissiva, ma si è mossa con un qualche ritardo). In questo spazio poteva e doveva insinuarsi la politica bloccando sul nascere un’iniziativa «idiota» come la direttiva Brrd che determinava la compartecipazione dei risparmiatori al salvataggio di un istituto, contravvenendo allo spirito della nostra stessa Costituzione. Non lo fecero i governi Monti e Letta, prostrati dinanzi a Bruxelles nonostante l’esplosione della mina delle sofferenze imponesse, già cinque anni orsono, un intervento. Non lo fece il governo Renzi che, pur non avendo molto a tempo a disposizione, avrebbe potuto imporre un qualche veto, ma preferì optare perla flessibilità di bilancio piuttosto che occuparsi di banche salvo poi trovarsi di fronte a una catastrofe annunciata. Se, a parte i casi di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara, anche da noi la Brrd è stata sostanzialmente disapplicata, lo si deve a una successiva resipiscenza della Commissione Ue che si è resa conto degli effetti destabilizzanti su tutta l’area euro. E, se non ci fossero stati due italiani, Mario Draghi e Antonio Tajani, alla guida della Bce e del Parlamento europeo, avremmo una normativa ancora più «idiota» come l’addendum sugli Npl, per adesso fortunatamente rinviata.
Fatte queste debite premesse, spiace che un autorevole editorialista come Paolo Madron ritenga che sarebbe stato più opportuno un avvicendamento del governatore Ignazio Visco per togliere a Matteo Renzi un bersaglio da colpire durante una campagna elettorale che si sa già impostata contro presunti «poteri forti» corresponsabili della crisi finanziaria. Certo, le fake news lederanno l’immagine da pacifico civil servant che Visco si è costruito in questi anni. Ma questa è la malattia genetica di un Paese che rispetta le istituzioni solo per finta ed è pronto a devastarle quando da esse non ottiene le risposte che intendeva ottenere. Ovviamente, la citazione del Pd e di Matteo Renzi non è per nulla casuale.
Gian Maria De Francesco per Wall & Street
P.S.: Questo è un blog economico-finanziario e non politico che si propone di rendere un servizio di informazione e approfondimento ai suoi lettori. Abbiamo avanzato critiche politiche, questo sì, ma sempre nel nome di uno spirito liberale e, soprattutto, rispettoso delle istituzioni. Abbiamo giudicato negativamente le ricette economiche a base di patrimoniali del Pd di Bersani, la destabilizzante campagna anti-euro di Beppe Grillo e anche la corresponsabilità del centro-destra nella crisi delle banche locali e di Mps, avendo fatto opposizione solo formale al Pd e al suo sistema-Siena. La protervia di Matteo Renzi rischia di devastare un’istituzione importante come Bankitalia: è anche compito di una stampa libera e democratica fermarlo dal suo insano proposito.