La guerra dell’energia brucia il 3% del Pil
«La fiammata dell’energia e la crisi provocata dalla guerra rischiano di incenerire il 3% del Pil nel 2022. Un macigno che potrebbe mandare in default 184.000 imprese che danno lavoro a 1,4 milioni di persone». Lo dice Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative commentando «La guerra dell’energia» il focus elaborato dal Censis e dalla confederazione sulla base dell’analisi del FMI.
«Per il caro energia il FMI, nel periodo prebellico, aveva stimato una contrazione del Pil pari all’1,5% a cui vanno aggiunti – continua Gardini – gli effetti della guerra che rischiano di costarci almeno un altro 1,5% di Pil (fonte centro studi Confcooperative) tra rincari delle materie prime, difficoltà negli approvvigionamenti, mancato export verso la Russia, chiusura dei flussi turistici e peggiorate condizioni per la circolazione delle merci»., osserva Gardini «È un’economia di guerra e occorrono misure di guerra» Gardini suona l’allarme, ma lancia anche una proposta al governo «Le imprese vantano circa 60 miliardi di crediti nei confronti della PA. Le imprese creditrici potrebbero compensare il caro energia con i crediti vantati. La liquidazione sarà rimandata a un accordo tra Stato, Cdp, società energetiche e municipalizzate. Questo sarebbe particolarmente utile per la disponibilità di cassa delle imprese che si stanno indebitando per pagare la bolletta elettrica triplicata rispetto allo scorso anno. Molti settori dall’agroalimentare al welfare sono alla canna del gas».
A rischio 184.000 imprese e 1,4 milioni di persone
Sono a rischio 184.000 imprese con almeno 3 addetti. Maggiore l’incidenza del rischio fra le imprese dei servizi (20,5%) e fra le piccole (21,3% nella classe 3-9 addetti). In base alle previsioni sul primo semestre 2022, circa 184mila imprese sarebbero esposte a un rischio tale da pregiudicare la propria attività operativa. Occupano poco meno di 1,4 milioni di addetti (il 10,5% sul totale) e rappresentano il 10,9% del valore aggiunto del sistema produttivo (Istat).
L’analisi del FMI: la febbre dei costi di energia gela la crescita
Secondo il Fondo Monetario Internazionale la concatenazione di restrizioni alle attività produttive, di strozzature sul lato dell’offerta di materie prime ed energia e degli effetti inflattivi collegati al rimbalzo della domanda sono costati all’Italia nel 2021 circa un punto e mezzo di Pil. Stima confermata anche per il 2022 dai risultati dell’analisi controfattuale del Fondo Monetario Internazionale. Le stime più recenti del Pil italiano, rilasciate da istituzioni e agenzie internazionali, si attestano intorno al 4% per il 2022 e variano fra il 2,2% e il 2,6% per il 2023.
Il 29,8% delle imprese italiane – oltre 285mila, di cui 221mila imprese del terziario – non è in grado di recuperare i livelli di capacità produttiva precedenti la pandemia. Il 61,7% è già tornato a un regime produttivo in linea con i livelli pre pandemia (il 65,1% nell’Industria, il 60,2% nei servizi), mentre l’8,5% (circa 82mila imprese) ha già superato la fase critica con un incremento della capacità produttiva rispetto a due anni fa, anche se nel terziario la quota scende al 6,7% e nell’industria supera il 12%, così come minore è l’incidenza fra le piccole imprese (il 6,6% nella classe 3-9 addetti) e maggiore fra le più grandi (il 23,9% nella classe con almeno 250 addetti).
Imprese pronte ad assumere ma manca il personale qualificato
Il mismatch nel 2021 ha bruciato 1,2% di PIL e continua a pesare nel 2022 per quasi 200.000 imprese. Pesa il reperimento di figure professionali. È quanto lamenta il 20% delle imprese italiane (184mila), con almeno 3 addetti nel formulare le attese sul primo trimestre 2022. Nell’industria l’incidenza sale al 23,1% (poco meno di 67mila) e nelle costruzioni raggiunge il 27,3% (circa 30mila). Molto più sentito il condizionamento della scarsità di professionalità da parte delle imprese con una dimensione compresa fra i 50 e i 249 addetti (28,1%). Il mismatch, nel 2021 è costato al paese 1,2% di Pil.
Gian Maria De Francesco