Rileggendo capolavori del passato si può rimanere sconcertati per alcune abitudini dei personaggi che lì prendono vita. Per tic e modi di pensare ormai considerabili fuori dal tempo. Ed è quello che mi è successo rileggendo La noia di Alberto Moravia (morto proprio il 26 settembre di 23 anni fa). Si tratta di un cosiddetto “titolo di catalogo” che dà lustro al marchio Bompiani. Dal1960 a oggi ha avuto decine di edizioni. Dal 2001, poi, è stampato nella collana dei tascabili e negli ultimi tredici anni ha bruciato ben 19 ristampe. Segno che questo long-seller continua a parlare ai lettori forti e a quelli giovani. Segno, inoltre, della sua attualità e del messaggio sicuramente forte che vuole veicolare. Insomma un classico. E in questo classico troviamo un personaggio che compie passi che oggi sarebbero inspiegabili. E soprattutto si attaccherebbe a modi di fare e di pensare che stonerebbero nel clima “politicamente corretto” che permea ogni sfumatura della nostra vita comune.

Il protagonista, Dino, si annoia (e mai titolo fu più programmatico di questo). Cerca di fare il pittore, ma si annoia. Le relazioni sociali lo annoiano. E ovviamente si annoia a ciondolare nella grande villa sull’Appia dove vive la madre, una ricca borghese che ha come unica preoccupazione quella di amministrare ingenti rendite. Dino è nel “mezzo del cammin” di dantesca memoria. Insomma quell’età e quella condizione che oggi qualificherebbe un “bamboccione”. Ovvio che in un simile contesto il trentacinquenne aspirante pittore  provi a sconfiggere la sua “alienazione” con una spasmodica caccia delle più attraenti rappresentanti del gentil sesso. E così facendo si imbatte in Cecilia, una ex Lolita che ha già portato alla tomba un pittore sessantenne. Una ragazza? Forse una sfinge. Un personaggio difficilissimo da interpretare. Dino prova a capirla. Prova a possederla. Sa che possedendola, potrebbe vincere la noia che è appunto per lui (e per Moravia), l’incapacità di trarre profitto da un rapporto positivo con la realtà. Però non ci riesce. E i suoi sforzi inutili, le sue frustrazioni, ricordano altri patetici personaggi letterari come Emilio Brentani di Senilità e, soprattutto, l’Humbert Humbert che Vladimir Nabokov condannò all’ergastolo di una posizione ridicola dentro quel capolavoro che è Lolita. E, guarda il caso, quest’ultimo romanzo uscì in Italia proprio mentre Moravia scriveva La noia.

Oggi risulterebbe oltremodo utile la rilettura del romanzo di Moravia. Non solo perché quel grande scrittore non aveva nessuna voglia di compiacere i lettori, abitudine oggi prevalente. Sapeva di avere una grande dote (la capacità appunto di narrare). E con estrema agilità si preoccupava solo di sondare i meccanismi più profondi dell’animo umano. Quasi da trasformare la scrittura in una sessione di laboratorio. Senza indulgenze, senza compassioni. Con la lucidità appunto dello scienziato. E senza compiacere il lettore con voli pindarici nelle trovate più romanzesche e fantasiose.

Però si tratta pur sempre di un romanzo di più di sessant’anni fa. Quindi un romanzo che offre lo spaccato di una società che non c’è più. Ed è anche di questa che è bene fare la conoscenza. Per capire quanto siamo cambiati e quanto è mutato il mondo intorno a noi. Basti pensare che Dino, il protagonista, non ha nessun problema ad assoldare un investigatore privato per spiare Cecilia, che non ha alcun legame ufficiale con lui. Il garante per la Privacy oggi non permetterebbe mai un simile abuso. Ne siamo certi.

Da non trascurare, poi, la città che ospita questa storia. E’ una Roma non lontana da quella descritta nella Dolce vita di Fellini. In questa Roma era possibile per un bamboccione come Dino andare a vivere a via Margutta, perché spiantato e riluttante a chiedere i soldi alla madre. Oggi nessun bamboccione spiantato potrebbe permettersi nemmeno di lasciare il nido materno (anche se fosse angusto e piccolo e si trovasse in una periferia ben più modesta rispetto all’Eden dell’Appia antica). L’ultima volta che si è parlato di un appartamento di via Margutta sui giornali è stato per lo scandalo dei fondi della Regione Lazio. L’ex capogruppo Pdl alla Pisana, Franco Fiorito, era riuscito a occupare un appartamento dell’Ipab Sant’Alessio. Una strada di prestigio e un appartamento di prestigio per una storiaccia di cattiva politica. I tempi cambiano.

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