Chiudiamo le librerie (e non pensiamoci più)
Può succedere a tutti. O meglio può succedere a quelli che come me peccano talvolta di ingenuità e di ottimismo. Può succedere insomma di nutrire un eccesso di fiducia nei confronti delle librerie, dei giornali, dei libri e in genere del mondo del sapere veicolato dall’industria editoriale. E ti accorgi che di eccesso di fiducia si tratta quando ti si para davanti agli occhi un indizio inaspettato. Un suggerimento, insomma, a rivedere tutta la storia dell’ottimismo (e anche dell’ingenuità).
Stiamo parlando di librerie; stiamo parlando della filiera del libro. Che indubbiamente si presenta sempre più magmatica e sempre meno rassicurante. Ma partiamo subito dal fatto, dall’esempio che, temo, può diventare (se non lo è già) paradigma di una realtà radicalmente mutata, e probabilmente non in meglio.
L’altro giorno sul nostro Giornale ho letto uno splendido articolo di Stenio Solinas su Evelyn Waugh. L’occasione è la pubblicazione di un volume che raccoglie i racconti del celebre scrittore inglese. A pubblicarlo è Bompiani. Intrigato dal pezzo, decido di andare in libreria ad acquistare il libro. La redazione non è lontana da una delle più grandi librerie della città. Libreria che si trova, tra l’altro, in una trafficata strada del centro di Roma. Ci sono tutti i presupposti che il volume sia una facile preda. La libreria è grande e ben fornita. E si trova in una posizione centrale. Il libro è, poi, appena uscito ed è pubblicato da una grande casa editrice. Insomma nessun rischio, quindi, ti tornare a mani vuote.
E invece la ricerca tra i banchi della libreria risulta alla fine infruttuosa. Il libro non lo trovo. Però non mi faccio scoraggiare. Vado al banco informazioni per prenotarlo. Spiego alla solerte e gentilissima commessa quale libro stia cercando e le chiedo di ordinarlo. Dopo aver consultato il suo computer la signora sgrana gli occhi e fatica a trattenere un’espressione mista di stupore e disappunto. E mi spiega che non è così facile ordinarlo. Mi dice, altresì, che loro stessi hanno chiesto alcune copie del titolo ma che il distributore non le ha mai inviate e che quindi è probabile che possa non evadere la mia stessa richiesta. Quindi torno a casa senza il libro. E mentre rientro mi metto a pensare a cosa dovrebbe fare chi vive in provincia. Magari in una cittadina lontana dai circuiti della grande distribuzione. E poi rifletto anche sul fatto che se avessi voluto avrei potuto ordinare il libro via internet subito dopo aver letto l’articolo di Solinas. In tre giorni lavorativi il libro sarebbe arrivato direttamente a casa e a un costo oltretutto più basso, visto che le più grandi librerie on line praticano sconti dal dieci al venti per cento.
Un ragionamento che mi fa pensare a quanto sia precaria la salute delle nostre librerie. Non mettono a disposizione dei clienti nemmeno i libri appena pubblicati da grandi case editrici e di cui si parla sui giornali nazionali. A quel punto provo a ripensare a cosa esattamente vendono le librerie di oggi. Un terzo dello spazio espositivo è dedicato a gadget e articoli che solo tangenzialmente hanno a che fare con la cultura e che comunque non sono libri. La maggior parte dei titoli in vendita, poi, sono i cosiddetti bestseller. Con poco spazio non tanto (e non solo) per le novità quanto per l’originalità delle proposte culturali. Poco spazio quindi per titoli di nicchia e piccoli editori.
E a questo punto il problema diventa più genericamente culturale. E si torna alla domanda delle domande. “Perché si legge?” Sicuramente per aumentare il proprio bagaglio di conoscenze. Per rafforzare l’originalità del nostro pensiero e l’indipendenza del nostro giudizio. Tutto il contrario di quanto le librerie sembrano supporre. Secondo le rigide regole del mercato i clienti delle librerie sono semplicemente consumatori. E non dei più illuminati, peraltro. Sembra quasi che i librai vogliano che noi si legga soltanto bestseller e libri di consumo, magari instant book che non resistono non solo al tempo ma nemmeno al passaggio di una moda passeggera. Se l’offerta proposta dalle grandi librerie è così “povera” il lettore non si emancipa, e se non si emancipa non diventa un grande lettore.
Poi, per vedere se il mio ragionamento è confortato dai dati, vado a vedere i risultati dell’ultima ricerca effettuata dall’Aie (l’associazione degli editori). E i numeri confortano, purtroppo, le mie impressioni. Secondo quanto riportato dalla ricerca commissionata alla Nielsen dall’associazione degli editori, nel 2014 si sono acquistati 4 libri su 10 nelle grandi catene librarie e 3 su 10 nelle librerie indipendenti. Con un calo limitato rispetto all’anno precedente; comunque una diminuzione c’è stata. In generale tutta la ricerca è un unico segno meno. Meno lettori, meno titoli acquistati, meno libri letti. Gli unici dati positivi sono l’aumento della vendita (e della lettura) di libri digitali e la vendita di libri cartacei on line. Quest’ultimo settore è cresciuto del 13,8% rispetto al 2013. Una crescita davvero notevole. Di questo passo le librerie, per sopravvivere, dovranno vendere altro. Anche perché la filiera editoriale non sembra disposta a mutare prospettive e strategia. Insomma non c’è più spazio per l’ingenuo pensiero che per stimolare la propria curiosità intellettuale sia necessario passare da una grande libreria di un grande centro cittadino. L’ottimista deve guardare altrove e soprattutto deve perdere il suo attaccamento a moduli ormai “passati di moda”.