A scuola di scrittura da John Fante
Uno dei più efficaci motti della letteratura di tutti i tempi è il celeberrimo Carpe diem tratto da un’ode di Orazio. Che i più, peraltro, non ricordano dal tempo dei banchi di scuola ma dalla visione di un altrettanto celebre film di Peter Weir (L’attimo fuggente). Senza scomodare la settima arte, e tantomeno la poesia latina, c’è un romanzo dedicato proprio alla filosofia sottesa al motto oraziano. Si tratta di Chiedi alla polvere di John Fante (letto nella traduzione di Maria Giulia Castagnone per le edizioni Marcos y Marcos). La sua lettura è raccomandata proprio a quanti faticano a rendersi conto che il presente va vissuto senza risparmio. Quindi anche a quei giovani che corrono il rischio di non dare il giusto peso alle loro emozioni.
Arturo Bandini, questo il nome del protagonista del romanzo, lascia la provincia per tentare la fortuna a Los Angeles. La sua ambizione è quella di sfondare come scrittore. E porta in dote alla grande metropoli californiana un magro curriculum dove campeggia soltanto il titolo di un racconto. Non si tratta però del solito romanzo sullo scrittore in crisi (o peggio sulla genesi della sua fortuna). Fante, usa tutti i cliché a disposizione sulla ricerca di fortuna, sul provinciale nella metropoli, sul riscatto sociale e sul successo. Ovviamente lo fa con intelligenza e sapienza. E il lettore non si deve scoraggiare. Basta superare le prime pagine per rendersi conto che le peripezie di Bandini (che sopravvive mangiando soltanto arance in un alberghetto di infima categoria) nell’attesa della giusta ispirazione sono già vita. Vita vissuta alla grande: con furore, con passione, con disperazione. E le sue lettere di scuse all’editore finiscono per essere autentica letteratura. Perché in quei bassifondi che è costretto a frequentare Bandini conosce l’amore, conosce la disperazione e l’arte di arrangiarsi. E le racconta (apparentemente) senza mediazioni.
Eppure, riesce a regalarci letteratura. Proprio perché quei racconti non sono soltanto cronaca, o ritratti di personaggi indimenticabili. Sono vita vissuta. Vita che restituisce un senso non soltanto al suo protagonista ma anche al lettore che la osserva dalle pagine del libro.
E il successo arride Bandini perché non si accorge che la vera arte dello scrivere risiede nel farsi conquistare dalla vita, fino a suggerne gli umori più nascosti. E poi ci penserà la penna a fare il resto. Ovvero il talento nel saper trovare le giuste analogie e metafore, nel mettere nel posto più indicato paragoni e aggettivi. Basta un piccolo esempio. Quasi a fine racconto Bandini ritrova la giovane messicana per la quale ha perso la testa. Lei è disorientata e sicuramente non sa quello che vuole. Lo scrittore, ovvero il personaggio di Fante, sa cosa vuole ma non si rende conto di maneggiare un preziosissimo strumento: ovvero la sua capacità di osservazione. E segna quasi distrattamente un’annotazione che già da sola vale la lettura del romanzo, anche se si inserisce in una delle tante lettere al suo editore. “Era nervosa. Aveva bevuto troppo. E i suoi occhi avevano la fissità un po’ irosa di quelli di un pollo”.