Qualcuno ha già sussurrato a mezza voce che i candidati allo Strega di quest’anno non sono all’altezza del premio. Mancano nomi importanti e soprattutto libri che abbiamo inciso con la loro pubblicazione nell’immaginario collettivo. E’ in queste circostanze che mi rallegro della mia scelta di leggere soprattutto classici, di affrontare, insomma, testi che hanno già superato la prova del tempo. Da poco, per esempio, ho concluso la lettura de Le stelle fredde di Guido Piovene (nell’edizione Meridiani Mondadori curato da Clelia Martignoni). Questo libro, uscito nel 1970, ha vinto il Premio Strega, superando in finale La meccanica di Carlo Emilio Gadda.  La prova del tempo l’ha superata. E anche il suo autore è da tempo entrato nel Pantheon del nostro Novecento (oltretutto quest’anno si celebra il cinquantenario della morte).

Una cosa salta subito agli occhi leggendo questo romanzo: la purezza di una lingua italiana che ormai è soltanto un pallido ricordo. Piovene ci offre uno stile narrativo freddo e asciutto (come le stelle del titolo), che sfrutta però un lessico elegante e preciso e un ritmo della frase ammaliante. Basterebbe questo, a mio modesto avviso, per consigliarne la lettura anche se oggi titoli come questo risulterebbero quanto meno impegnativi per il lettore. Piovene, infatti, non concede nulla. Vuole offrire un romanzo filosofico e non fa sconti, chiedendo al lettore il massimo impegno nel districarsi tra il mito della caverna di Platone e i dubbi morali di Dostoevskij.

La storia ha un incipit, tra l’altro, oggi impensabile. Il protagonista sente crescere dentro di sé un nodo esistenziale difficile da sciogliere. Non prende aspettativa dal lavoro, non finge una malattia immaginaria, non fugge dalle sue responsabilità professionali sfruttando le ferie accumulate. Semplicemente si dimette. Il posto è di tutto prestigio: dirigente di un’azienda di Stato. La decisione, però, è presa. Chiude casa, liquida i conti e parte.  Destinazione la casa di famiglia che ha da poco ereditato. Questa dimora è la perfetta cornice del racconto filosofico che Piovene sta per proporre al lettore. Si tratta di una casa che il protagonista ha ereditato direttamente dal nonno per evitare che finisse nelle mani dei creditori del padre. Uomo irrisolto e sempre in cerca di affari, che ancora vive nella casa ospite ingombrante e di difficile gestione. Intorno alla casa una campagna fredda e minacciosa che sembra chiudersi intorno alle mura domestiche come un muro quasi invalicabile. Dalle sue “fenditure” entra il mondo con la sua urgenza: un  rivale in amore, gli echi di un assassinio, un funzionario di polizia.

Il protagonista è stato abbandonato dalla compagna Ida. E quel vuoto si trasforma in una domanda esistenziale. La fuga dalla città e il rifugio agreste rappresentano un passaggio quasi necessario per ritrovarsi. Purtuttavia il nostro incappa prima nella fragilità del padre, poi nell’ira dell’uomo che Ida aveva lasciato per lui. E da lì è tutto un ripararsi da una realtà che tenta di invadere il suo angusto spazio domestico. Prima un omicidio del quale viene viene accusato. Poi l’arrivo di un commissario di polizia con la passione per la riflessione filosofica. Quindi l’incontro spiazzante con un redivivo Dostoevskij.

Ed è a questo punto che il romanzo svela appieno la sua natura di racconto filosofico. Sotto le stelle fredde la realtà assume la duplice versione di contenitore di simulacri e di cornice dell’esistente. Lo stesso redivivo Dostoevskij non sa dare un senso al suo racconto della terra dei non vivi. Le sua capacità narrative e descrittive sono intatte ma ne viene fuori un racconto che non aiuta chi vive a sapere cosa è la morte e come “sopportarla”.

Il nostro protagonista, alla fine, si chiuderà in casa e continuerà sulla scrivania a cercare di dare un senso a quell’eterno rapporto tra cose e nomi, oggetti e simulacri, persone e idee. Insomma cercherà di dare un senso alla scrittura. Perché letteraria è solo e soltanto la parola che si interroga e ci interroga.

ps

Piccola postilla. Pochi mesi prima di morire Guido Piovene ha partecipato a un’avventura importante e che riguarda noi lettori del Giornale. Insieme con Indro Montanelli e Gianni Granzotto, infatti, Piovene è stato tra i fondatori del Giornale nel giugno del 1974. Si è potuto, tuttavia, godere per pochissimi mesi la creatura che aveva contribuito a far nascere, spegnendosi a Londra nel novembre dello stesso anno. Il suo nome, però, rimarrà per sempre inciso nella storia del nostro giornale.

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