Possiamo azzardare un postulato: la letteratura fa della vita una prolissa teoria di trascurabili momenti interrotta improvvisamente da accadimenti e coup de théatre che scartano dal prevedibile. E tutto questo allo scopo di farci mutare punto di vista, oppure semplicemente allo scopo di sorprenderci mostrandoci il fascino racchiuso nello scarto alla regola. Più sanno mostrarci con maestria e vivida immaginazione questi momenti topici, più gli scrittori vengono da noi incensati e lodati. Penso, tra i tanti, soprattutto agli autori che si sono specializzati nei racconti. E tra questi soprattutto alle autrici come Alice Walker, Margaret Atwood o Alice Munro. L’idea è quella di fermare un momento, un istante, che si trasforma in rivelazione, illuminazione, fotogramma di una verità che si coglie all’improvviso, quasi per caso. E dopo nulla sarà più come prima. Nel racconto come nel lettore.

Ci sono però felici eccezioni a questa sorta di canone.  Una di queste è rappresentata da Raymond Carver. Del quale ho appena terminato di leggere Cattedrale (Einaudi, traduzione di Riccardo Duranti). Carver viene considerato il padre del minimalismo americano dell’ultimo scorcio ventesimo secolo. Ha fatto scuola in tutti i sensi. Ha infatti insegnato per anni creative writing nelle università americane.

Dicevamo che Carver rappresenta un’eccezione. E infatti è così dal momento che nei suoi racconti sembra non accadere nulla. Se poi aggiungiamo anche che non si perde in lunghe descrizioni degli ambienti o dei personaggi potremmo arrivare alla frettolosa conclusione che i suoi racconti parlano di niente. Ma non è così. Siamo di fronte a gioielli di scrittura. Dove tutto è accaduto prima o dovrà accadere poi E noi rimaniamo a osservare cosa accade nei protagonisti e come essi si trasformino davanti ai nostri occhi.  Nella prefazione del volume Francesco Piccolo magistralmente  sintetizza la poetica carveriana in una felice metafora: “Non è l’esplosione a essere decisiva, bensì il momento in cui è stata accesa la miccia; anzi il momento in cui è stata preparata la miccia; anzi il momento in cui è apparsa nella testa la volontà di accendere una miccia”. Ecco perché la maggior parte dei suoi racconti sono declinati al presente. Al momento, cioè, in cui noi lettori ci colleghiamo ai suoi personaggi, seguendoli nel luogo dove si trovano, in un tempo in cui apparentemente non succede alcunché di decisivo.

Si potrebbero citare tutti. Mi limito all’ultimo. Il più bello. Quello che, non a caso, presta il titolo a questa raccolta. Cattedrale  osa un passaggio ulteriore. Ci offre un piccolo gioiello di mimesi letteraria. Perché il non vedente protagonista del racconto intrattiene il suo ospite sulla creatività. E sull’immaginazione. Memorabili le pagine in cui i due disegnano insieme su un foglio una cattedrale. Con il non vedente che tiene la mano sopra quella del suo ospite per tratteggiare nella sua mente le linee guida di un progetto architettonico. Bastano pochi tratti per disegnare una cattedrale, sembra dirci l’autore. Così come poche parole, scelte con cura, in un contesto ben determinato dove il superfluo è bandito, per dare corpo a un piccolo gioiello letterario.

 

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