Il grande morbo del politicamente corretto impedisce di chiamare le cose con il loro nome. E’ come l’indeterminazione quantistica degli elettroni prima di essere osservati, con noi che guardiamo sempre altrove.

Il morbo attecchisce bene a sinistra, ma quando fa comodo ne usufruiamo tutti in maniera bipartisan. Qatargate, per esempio: ogni giorno apriamo i giornali, sperando inconsapevolmente di trovare un nome tedesco, o un furbetto del quartierino francese. Macchè! La torta è proprio tutta italiana, con una ghiotta ciliegina greca, ma non lo diciamo. Allo stesso modo, Matteo Messina Denaro è un problema siciliano, anche perchè in quasi tutte le altre regioni d’Italia un abitante radicato nella sua terra da trecento generazioni non passerebbe inosservato.

Non sono un grande fan dell’obbedienza. Personaggi come Julian Assange (il fondatore di Wikileaks) e Edward Snowden (l’informatico che rivelò il programma di sorveglianza di massa della CIA) meriterebbero un monumento nella “land of the free and the home of  the brave”, e non essere murati vivi oppure esuli in Russia. L’obbedienza cieca ha alimentato mostri come la DDR, e in questa nostra epoca omologata e interconnessa mancano i disobbedienti coraggiosi con una visione distaccata. Però l’uomo che ha sciolto un bambino nell’acido dovrebbe mettere tutti d’accordo, o no?

Matteo Messina Denaro arrestato nel centro di Palermo dopo decenni di latitanza fa venire in mente Osama Bin Laden, stanato dieci anni dopo l’Undici Settembre nel suo cubo di cemento a pochi metri da una base militare pakistana. La differenza è che quest’ultimo era ancora operativo, seppure sotto stress per la spietata concorrenza jihadista irachena. Il boss mafioso, invece, è minato da un male incurabile, “cotto” al punto giusto per essere abbandonato dal branco. Tutto questo fa molto “National Geographic”.

Quanto è credibile che nessun palermitano in quella clinica conoscesse la sua vera identità? Anni fa, in Repubblica Ceca, girava la parodia di una tecnica di delazione in voga in Cecoslovacchia durante il comunismo: grattarsi “i baffi” con il dito indice parallelo alla bocca, puntandolo verso il ricercato, e contemporaneamente dire: «Non so proprio dove si nasconda il saponificatore di bambini!».

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