L’establishment non vuole la pace in Siria. E il rapporto tra Russia, Turchia e Iran
Con la stretta dell’esercito governativo siriano attorno ad Idlib, ultima roccaforte dei ribelli jihadisti, si dovrebbe avviare verso la conclusione il conflitto in Siria. Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo. Diversi sono infatti i punti interrogativi su quale sarà la reazione dell’establishment occidentale. Che sembra, dalle notizie emerse grazie ai tanto bistrattati media russi e sapientemente taciute dalla stampa italiana ad eccezione de il Giornale, non voler in alcun modo accettare la possibilità che Bashar Al Assad e il suo regime laico tornino in pieno controllo del Paese.
Così, mentre il presidente statunitense Donald Trump nel mese di agosto aveva annunciato la fine del sostegno americano alle truppe ribelli “moderate”, inquietanti sono le notizie emerse negli ultimi giorni circa la possibilità che i ribelli stiano preparando il solito attacco chimico fasullo (“solito” perchè anche sulla natura dei precedenti non dovrebbero ormai esserci più dubbi) per farne ricadere la colpa sui governativi e quindi consentire alle nazioni occidentali di bombardare nuovamente il Paese. Il campanello d’allarme era partito dall’annuncio di John Bolton, che ha minacciato l’intervento qualora, nell’assedio di Idlib, i governativi usassero armamenti chimici. Ancora una volta tocca far notare quanto sarebbe assurdo, per Assad e le sue truppe, utilizzare armamenti del genere quando il conflitto volge decisamente a loro favore, ma in Occidente è necessario giacchè il sistema mediatico è impegnato integralmente a dimostrare il contrario, contro ogni logica e buon senso. Fatto sta che la situazione ha provocato un assembramento di unità navali russe nel Mediterraneo, la più corposa dall’intervento sul teatro siriano nel 2015.
Della situazione nei giorni scorsi, dalle colonne de ilGiornale.it, ne ha parlato in maniera esaustiva il blog PiccoleNote: “Il 25 agosto i russi hanno risposto allarmati al Consigliere per la sicurezza Usa. Il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashenkov, ha dichiarato che il gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (al Qaeda) sta ‘preparando un’altra provocazione attraverso l’uso di armi chimiche contro la popolazione civile della provincia di Idlib da attribuirsi alle forze governative siriane’. E ha specificato che sono stati portati ‘otto barili di cloro’ nel villaggio di Jisr al-Shughur per ‘mettere in scena’ l’attacco. Inoltre ha specificato che ad aiutare i miliziani jihadisti sarebbe ‘la compagnia militare britannica (privata, si tratta di un contractor, nda) Oliva’, che avrebbe inviato in loco personale addestrato”. Ma non è finita. Allo scopo, ci rivela ancora PiccoleNote che “secondo fonti iraniane al Nusra avrebbe rapito quaranta bambini da sacrificare nell’attacco“.
IL RAPPORTO CHE TURBA L’OCCIDENTE
La pedina fondamentale, in questo scenario, è la Turchia di Erdogan. Membro “infedele” della NATO, acquirente di sistemi S400 russi,dialogue partner della SCO (Shanghai cooperation organization) sino-russa dal 2013, la Turchia è nel mirino dell’establishment occidentale. Sarebbe da ingenui non inquadrare in questa situazione anche gli attacchi speculativi alla lira turca di quest’estate, che, nel mezzo della crisi con gli Stati Uniti relativa alla prigionia del pastore protestante Andrew Brunson, hanno fatto dichiarare allo stesso Erdogan di stare valutando “di cambiare alleati“. E non a caso lo stesso presidente turco ha parlato, più che di crisi, di “guerra economica” da parte dell’Occidente.
Per il riavvicinamento a Mosca e Teheran del sultano di Ankara, quello di Idlib è il test più importante, visto che il nord della Siria in mano alle truppe ribelli si è di fatto trasformato in un protettorato turco. In queste ore fervono le trattative tra Mosca, Ankara, Damasco e Teheran, per evitare la compromissione dei rapporti con le potenze eurasiatiche. Un incontro tra Putin ed Erdogan sul tema è previsto proprio in Iran nella prima metà di settembre.
Unitamente alla scelta dei siriani di non allontanare le truppe iraniane dal Paese, condizione posta in primis da israeliani e americani (furiosi per il mancato aiuto su questo fronte da parte di Putin, che, come prevedibile e a dispetto di quanto prefigurato da qualche poco accorto commentatore non è certamente pronto a sacrificare i rapporti con Teheran per quelli con Tel Aviv) è dunque, con grandi probabilità, questo uno dei motivi che sta fomentando l’aggressività dell’establishment occidentale, che nella battaglia di Idlib vede soprattutto un’opportunità per incrinare il rapporto tra la Turchia da un lato e la Russia e l’Iran dall’altro, rapporto che ha certamente avuto un ruolo nel volgere a favore di Assad il conflitto.
LA SIRIA DEL NORD E’ UN TEST ANCHE PER L’EUROPA DI MERKEL E MACRON
Ma quella che si prefigura come la battaglia decisiva per il conflitto siriano è un test interessante non solo per la Turchia, ma anche per l’Europa. Più precisamente per Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Il secondo ha recentemente dichiarato la necessità di valutare la costruzione di un progetto di difesa comune europeo che includa anche la Russia, la seconda sta portando avanti la distensione con Mosca sul piano della cooperazione economica. Entrambi poi si sono opposti nettamente alla rottura dell’accordo sul nucleare iraniano, senza contare le offerte di sostegno da parte europea alla Turchia in merito alla crisi monetaria. L’Europa che, nell’era degli USA di Trump, guarda a una progressiva conquista di sacche d’autonomia rispetto all’altra sponda dell’Atlantico, sarà chiamata a dimostrare la veridicità di queste intenzioni anche con l’atteggiamento che terrà in questa occasione.