IMG_3041L’Europa in pezzi” è il titolo dell’ultimo numero di Eurasia (il cinquantatreesimo), la prestigiosa rivista di studi geopolitici delle Edizioni all’insegna del Veltro, che uscirà nei prossimi giorni.

Un titolo che sembra riflettere in maniera speculare l’attuale situazione del contesto comunitario europeo, segnato in queste ultime settimane anche dalle proteste dei gilets jaunes

Chi qui vi scrive, autore di un contributo all’interno della medesima rivista, ha avuto modo di interloquire con il professor Claudio Mutti, direttore di Eurasia, per chiedergli di commentare, oltre proprio ai contenuti di quest’ultimo numero, anche l’intricata situazione geopolitica dell’Europa nel suo complesso.

Questo nuovo numero di ‘Eurasia’, – spiega il professor Mutti a proposito di quest’ultima uscita – che inaugura il sedicesimo anno di vita della rivista, contiene oltre alle consuete sezioni (Continenti, Documenti ecc.) ben due dossari. Uno, Geopolitica delle religioni, si occupa dello scisma ortodosso in Ucraina, della crisi del mondo musulmano, delle manovre di Steve Bannon negli ambienti cattolici, del potere esercitato dalle sette evangeliche sulla società brasiliana. L’altro dossario, che essendo il più nutrito dà il titolo al volume (L’Europa in pezzi?), focalizza la sua attenzione sul fenomeno del cosiddetto ‘sovranismo’, odierna versione del nazionalismo, evidenziandone la solidarietà con la strategia egemonica dell’amministrazione statunitense e indicando la dimensione eurasiatica come unica valida alternativa al debole e fallimentare europeismo dell’Unione Europea. La quale, se da un lato ha manifestato alcune renitenze alle ingiunzioni nordamericane, dall’altro si è resa sempre più impopolare per la sua strutturale soggezione al potere finanziario, rivelandosi incapace di guidare l’Europa verso l’unità, l’indipendenza politica e l’autonomia militare”

Il professore ha più volte sottolineato come gli Stati Uniti siano contrari alle grandi aggregazioni geopolitiche, che vanno nella direzione di un mondo multipolare.

Soltanto i ‘sovranisti’ – spiega – non arrivano a capire che dopo il 1945 la thiriartiana ‘soglia critica quantitativa’, cioè la dimensione minima indispensabile affinché un’entità politica sia davvero indipendente, sovrana ed autosufficiente, deve superare ampiamente la dimensione dello Stato nazionale. Perciò solo Stati continentali come la Russia, la Cina o l’India possono svolgere un ruolo autonomo sulla scena internazionale. Ciò di cui abbiamo bisogno, dunque, non è una fragile Unione Europea, né un’altrettanto fragile confederazione di Stati nazionali proposta da alcuni ‘sovranisti’, bensì un’Europa unitaria, integrata in un grande impero eurasiatico esteso fra Vladivostok e Dublino“.

Un ruolo e un destino particolare e per certi aspetti diverso riguarda il Regno Unito. E la Brexit non è necessariamente un bene…

L’Inghilterra – racconta ancora Mutti – ha obbedito al destino geopolitico legato alla sua natura insulare e, diventata la potenza marittima perfetta, è stata a lungo l’Antieuropa per eccellenza. Se Carl Schmitt poteva ancora pensare all’Inghilterra come ad una nave pirata che scioglie gli ormeggi e salpa alla conquista degli oceani, oggi sarebbe più appropriato immaginarla come una portaerei ostile ancorata sul nostro versante occidentale; una portaerei a disposizione degli Stati Uniti, poiché è almeno dal 1941 che l’Inghilterra ha la vocazione ad essere una pedina degli USA contro l’Europa. Un’Europa unita e sovrana – o un’Eurasia imperiale – non potrà affatto permettere l’esistenza di una minaccia di questo genere, ma dovrà agganciare saldamente a sé l’Inghilterra e non consentire assolutamente nessuna Brexit”.

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Il presidente francese Emmanuel Macron ha recentemente rilanciato l’idea di un esercito europeo.

La vedo esattamente come la vede Vladimir Putin – spiega al riguardo il professore – il quale ha definito l’idea di un esercito europeo come ‘positiva nell’ottica di un rafforzamento di un mondo multipolare’, poiché, cito le parole del presidente russo, “l’Europa è un forte blocco economico, una potente unione economica, ed è piuttosto naturale che voglia essere indipendente, autosufficiente, sovrana nella difesa e sicurezza”.

La Federazione Russa, fino a pochi anni fa, sembrava in grado di poter fare da polo geopolitico di riferimento per i movimenti sovranisti europei: non dimentichiamo la stipula di accordi di collaborazione tra il partito Russia Unita e alcuni di questi movimenti. Una scelta strategica? Forse no.

“In un recentissimo studio – commenta al proposito il direttore di Eurasiaintitolato ‘Chaos as a strategy. Putin’s Promethean Gamble’ e pubblicato dal ‘Center for European Policy Analysis’, gli analisti Donald Jensen e Peter Doran negano che la Russia prediliga le scelte politiche rappresentate dai movimenti ‘sovranisti’ di destra. Secondo loro l’attuale strategia di Mosca non mirerebbe a promuovere la formazione di un fronte di partiti filorussi, ma solo a confondere le oligarchie liberali, senza nessun espansionismo strategico. Perciò il Cremlino non fornirebbe nessun considerevole aiuto alla Lega di Salvini (la quale da parte sua ha dato via libera al prolungamento delle sanzioni antirusse); né sosterrebbe i fautori del Brexit; né avrebbe influito sull’elezione di Trump. Comunque sia, al Cremlino devono aver capito che i movimenti ‘sovranisti’, impegnati più che altro nello scontro con l’UE, sono sostanzialmente funzionali alla strategia trumpista. Più che di movimenti ‘sovranisti’ nazionali, la Russia avrebbe bisogno di un movimento ‘sovranista’ europeo, così come l’Europa avrebbe bisogno che la Russia intraprendesse in rapporto all’Europa un’azione analoga a quella svolta dalla Prussia nell’area tedesca o dal Piemonte in Italia”.

 

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