kerberos-4857603_960_720Ci voleva probabilmente una pandemia per far comprendere ai vertici della politica tedesca che il MES – Meccanismo Europeo di Stabilità, concepito in altri tempi e con rigore ideologico neoliberista, non poteva essere lo strumento adatto a fronteggiare le sfide poste da un cataclisma sociale ed economico di vasta portata, quello frutto del Covid-19. Così anche Angela Merkel è stata costretta ad ammettere che “Lo Stato nazionale non ha futuro, la Germania starà bene solo se l’Europa starà bene“, nel presentare l’accordo sul Recovery Fund proposto dall'”aquila bicipite” franco-tedesca, che dopo qualche tempo è tornata a farsi sentire indirizzando le linee di un’Unione Europea seriamente a rischio di deragliare per la rigidità dei cosiddetti “falchi”, i  Paesi austeristi del nord (Svezia, Danimarca e Olanda in primis), sulle misure di contrasto alle conseguenze socio-economiche della pandemia.

Gli stessi “falchi” che ora, con l’Austria, si oppongono a questo accordo che prevede l’emissione di 500 o 1000 miliardi di euro in titoli comuni, per finanziare un rilancio economico senza prestiti, come invece, come noto, prevederebbe il ricorso al MES. Certo, permangono alcune criticità e alcune zone d’ombra. Secondo Thomas Fazi, che fa riferimento soprattutto alla situazione italiana, per esempio, “l’emissione di titoli comuni non rappresenta di per sé un’innovazione rivoluzionaria: già lo fa il Meccanismo europeo di stabilità (MES), per intenderci. Per quanto riguarda la questione dei “trasferimenti a fondo perduto”, è presto per cantare vittoria. Se è vero, infatti, che i singoli Stati non saranno chiamati a rimborsare individualmente le somme ricevute, è altrettanto vero che però tutti gli Stati membri saranno chiamati a rimborsare (in base al PIL) il debito comune emesso dalla Commissione. E questo comporterà ovviamente trasferimenti significativi da parte dei maggiori Stati della UE, inclusa l’Italia, attraverso un maggiore prelievo fiscale. Dunque alla fine, come vale oggi per il bilancio europeo, a determinare se un paese ci avrà guadagnato o meno dal Recovery Fund sarà il saldo finale tra la somma che avrà ricevuto dal fondo in questione e la somma che invece sarà chiamato a metterci dentro. Tanto per capirci: anche oggi l’Italia riceve finanziamenti ‘a fondo perduto’ dalla UE, ma il suo saldo complessivo è negativo, il che vuol dire che l’Italia versa più soldi di quanti ne riceva dall’Europa”.

Ciò non toglie, tuttavia, che lo sforzo di Germania e Francia per “gettare il cuore oltre l’ostacolo” (si consenta questa banale figura retorica) sia stato determinante per superare un impasse che poteva davvero minare alla stessa sopravvivenza di un’Unione tragicamente divisa, anche in un momento drammatico come quello generato dal Coronavirus. E, se è pur vero che alcune critiche al Recovery Fund sono comprensibili da parte dei sovranisti italiani, dato che l’Italia da comunque annualmente al bilancio europeo più di quanto ne riceva indietro, non si può ignorare che, come ha affermato lo stesso premier italiano Giuseppe Conte, si tratti di una svolta storica poiché la Germania, per la prima volta, “accetta la logica del debito comune europeo e addirittura accetta la proposta condivisa con la Francia, che ci siano contributi a fondo perduto sino a 500 miliardi”. 

E chissà che questa svolta, seppur parzialmente soddisfacente, non possa essere un passo verso la costruzione di una cabina di regia europea non più “carolingia” (cioè quella condivisa da Berlino e Parigi, cementata simbolicamente dal Patto di Aquisgrana del gennaio 2019) ma, come la ha efficacemente definita Nicola Graziani in un articolo di analisi su Agi.it, “lotaringia”. Costituita, cioè, da Germania, Francia e Italia. “È che la mossa franco-tedesca – scrive Graziani – che di fatto viene in aiuto all’Italia, riporta l’Unione ai vecchi equilibri, che non sono solo quelli del 1957. Sono molto, molto più antichi. Sono retaggi medievali, cioè cose appena accadute. Se fossero più antiche, sarebbero addirittura archetipi. Non c’è nulla di più indelebile di un archetipo. Con l’intesa fra Merkel e Macron (…) rinasce l’Europa Lotaringica, quella disegnata dalla spartizione del Sacro Romano Impero tra i tre figli di Ludovico il Pio. Si noti l’originale divisione dei confini: Germania di qua, Francia di là e in mezzo, per l’appunto, la Lotaringia cui spettava il titolo imperiale. E cos’era la Lotaringia? La striscia di terra che correva lungo il Reno e calava giù, superando le Alpi e scendendo fino al Marchesato della Tuscia. In altre parole: l’Italia, legata politicamente e persino territorialmente, a dispetto delle stesse sue montagne, all’Europa del Nord. Ora, è di questo che non possono avere che paura Scandinavi e Osterlicchi (gli osterlicchi sono gli austriaci secondo Dante: è a lui che devono la loro prima citazione storica). Un’Europa con un tale asse che va da nord a sud li condanna alla marginalità”.

Un’originale rilettura delle vicende del continente e un’immagine potentemente suggestiva che, però, trova fondamento nel suo considerare l’Italia come parte integrante del cuore d’Europa, di quel centro “imperiale” che, del resto, la penisola porta nel suo patrimonio genetico. Perché, non bisogna dimenticarlo, proprio dallo “stivale” partì la costruzione del primo impero europeo della storia: quello di Roma. Ora, non basta certamente il Recovery Fund per fantasticare sulla riscoperta di una centralità europea in uno scenario globale che non è certamente quello dell’Alto Medioevo. Tuttavia, con gli Stati Uniti di Trump da un lato e l’espansionismo asiatico (ovvero cinese) dall’altro, se l’Europa deve trovare la propria autonomia sono questi i passi necessari. Con il rigore e i prestiti al limite dell’usura (circoscritti, peraltro, a interventi per il solo comparto sanitario…) che erano stati proposti dai tecnocrati al comando a Bruxelles, purtroppo, il futuro sembrava molto meno roseo. Ci hanno dovuto pensare Berlino, Parigi e Roma. Bene così.

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