Torre a Cona, una dimora nobile dal respiro lento
C’è un tratto di Toscana, a pochi chilometri da Firenze, dove la natura si fa silenziosa custode di una storia millenaria e l’arte del vivere assume forme armoniche, intrise di grazia antica
di Elena Barassi
Tra cipressi, colline ondulate e filari di viti che si rincorrono come note su uno spartito agreste, Torre a Cona è una dimora settecentesca, incastonata tra i rilievi che lambiscono Rignano sull’Arno. Una tenuta che reinventa il passato con eleganza colta e sensibilità contemporanea. La villa, oggi proprietà della famiglia Rossi di Montelera, si rivela come una delle più raffinate espressioni della campagna fiorentina. Sita tra i 300 e i 370 metri di altitudine, abbraccia 200 ettari di paesaggio toscano autentico, disegnato da boschi secolari, giardini all’italiana, oliveti e vigneti che si susseguono con ritmo quasi pittorico. La sua aura aristocratica si intreccia con una vocazione agricola nobile, sobria, mai ostentata, dove ogni gesto è un atto di cura e memoria. Passeggiare tra le sale di Torre a Cona è come attraversare un libro aperto sulla storia del territorio. L’edificio attuale affonda le sue radici nel medioevo. Documentato già nel 1066 come Castello di Quona, conserva ancora l’imponente torre del XII secolo, emblema visivo e spirituale della tenuta. Nel corso dei secoli, illustri famiglie come i Rinuccini e i Padoa ne hanno plasmato l’identità architettonica e agricola, imprimendo stile, ingegno e senso della bellezza. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Torre a Cona fu pure rifugio di capolavori di Michelangelo e Donatello, salvati dai bombardamenti grazie alla solidità delle sue cantine, una testimonianza ulteriore del suo valore non solo culturale, ma quasi sacrale.
Ospitalità come arte del ricevere
Nel 1935, la villa entra nella storia recente con l’acquisizione da parte di Napoleone Rossi di Montelera, erede della dinastia di Martini & Rossi. L’amore per l’enologia, tramandato da Luigi Rossi, l’imprenditore visionario che, con la moglie Marianna, ideò le prime formule del vermouth, trova nuova linfa a Torre a Cona. Oggi, con la terza generazione, Ludovica, Niccolò e Leonardo, la dimora è una residenza dell’anima, un luogo dove l’ospitalità si declina in forme eleganti e autentiche. Le suite, ricavate negli antichi ambienti della villa e della casa colonica, raccontano storie di travi antiche e stoffe pregiate. Una cifra stilistica, quella delle suite della villa, che parla di alti soffitti decorati, infissi originali restaurati, travi a vista e parquet in rovere in un dialogo costante con specchi antichi, tessuti Rubelli e tonalità delicate che sfumano dal cipria al tortora. Gli ambienti si aprono su scorci da cartolina: cipressi all’orizzonte, filari ordinati e il giardino all’italiana. Sulle dolci colline che circondano la villa si staglia la Casa Colonica, un tempo abitata dai contadini della tenuta, oggi restaurata con sensibilità architettonica e rispetto per la memoria del luogo, perfetta per chi cerca più privacy. Qui gli interni dei 5 appartamenti, che si affacciano sulla piscina privata, optano per uno stile country chic con con pezzi vintage toscani, cucine artigianali in legno e dettagli di design rustico-contemporaneo.
Vigne, Vermouth e tramonti tra le colline di Torre a Cona
I 19 ettari vitati, distribuiti su declivi esposti a venti e luce donano vini eleganti come il Molino degli Innocenti, icona enologica premiata come “Rosso dell’Anno” dal Gambero Rosso 2025, ma pure il Badia a Corte e il Terre di Cino, Chianti Colli Fiorentini Riserva DOCG, due interpretazioni del Sangiovese profonde e diversissime, quasi due anime dello stesso terroir. Indimenticabile all’ora del tramonto, il bicchiere di Vermouth Torre a Cona on the rocks, ispirato alle ricette manoscritte di Napoleone, il nonno di Niccolò Rossi di Montelera. Un elisir raffinato, frutto di un meticoloso studio di archivi e antiche tecniche estrattive, in cui 33 botaniche selezionate dialogano con la purezza di un Sangiovese d’eccellenza proveniente dai cru più pregiati della tenuta. All’Osteria, nell’antica limonaia, chef Enrico Romualdi punta sulle eccellenze locali, proponendo pure due menu degustazione, Il Glicine e I Tigli, che sono un inno alla Toscana, con, su tutto, il suo
piatto signature, la faraona in doppia cottura con verdure in agrodolce. Durante le ore più calde, la piscina, rivestita in pietra naturale e adagiata tra terrazze verdi e siepi fiorite, riflette il cielo toscano come uno specchio liquido ma è all’ombra di lecci secolari che si imbandisce un indimenticabile picnic dove tra salumi artigianali e pecorino locale si sorseggia il fresco Vermentino di Torre Acona.
