Roma, Ancona, Milano. Mare, piazzetta, montagna. Movida.

Dei furbi e dei fessi è il regno d’Italia, ci insegna l’eterno maestro Giuseppe Prezzolini. Codice della vita italiana: “Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro. L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono”

Isolate chi non vuole isolarsi. Mostrategli la vostra rabbia, gettategli pure addosso la vostra paura, contagiateli con essa, visto che costoro ne sono sprovvisti.

È il momento della durezza. Non della comprensibile irritazione verso il fratello che sbaglia, ma della fermezza assoluta, della pizza in faccia al fratello suicida! Non sta a me dirlo, che non sono nessuno. Ma poco importa della mia qualifica sociale: anche io, come tutti noi, rischio. Rischio e mi attengo agli esperti. Di certo non vivrò nell’ipocondria e nel terrore, ma presterò molta attenzione, limitando la mia vita, e adattandola a questo momento per sviluppare utilità condivisa e serenità personale.

Sacrosanta la leggerezza per non esplodere nella tensione intima e nel panico (da infodemia). Non immaginate quanto vorrei essere più sereno e ottimista. Sacrosanto, però, il riassunto monito disperato: “STATE A CASA, e trovate dentro casa, e dentro di voi, la leggerezza”. Magari una passeggiata serale, magari lo sport, la lettura, la meditazione, la preghiera, il sesso coniugale, ma EVITATE di assembrarvi, pomiciarvi, rotolarvi nell’erba abbracciati. Mannaggia l’erba!

Il terrore che non viene dalla mia limitazione, ma dall’assenza di quella altrui.

Ho il terrore di convivere con chi non sa rinunciare, nemmeno di fronte a un’epidemia. La paura, vera, di essere travolto da questa dissennata deficienza. Il terrore autentico di una gente completamente disabituata alla complessità, al ragionamento sopra le cose, alla solitudine, al pensare come raccoglimento necessario in questo momento e quindi al dedicarsi la vita, che non sia l’aver dato sfogo alla propria, tangibile soddisfazione. Disabituata al combattimento, ma che si tatua “resilienza”. Negli atti, anche nella capacità di saper essere sola.

Gente indegnamente figlia di quei fanti che cento anni fa, sacrificando totalmente se stessi, hanno reso grande l’Italia. Ho paura e schifo di una gente irresponsabile. Nonostante il divieto, nonostante il semplice buon senso. Gente che non sa distinguere paura e angoscia. La paura che attiva la massima reazione di sopravvivenza, e l’angoscia che attiva il meccanismo della sottomissione alla psicosi. È la cultura del “Vaffanculo” che slega dalle forme di responsabilità civile, dalla “dura lex, sed lex”, che permette l’elevazione dell’emozione a governo del reale e la relativizzazione dell’azione politica in nome della redenzione collettiva. La cultura del “Vaffanculo” è tra le palesi e peggiori manifestazioni della distruzione e del rifiuto dei modelli di autorità, portoni di ingresso della postmodernità. Modelli di autorità non solo pubblicamente riconosciuti (lo Stato al collasso sanitario impone per decreto il divieto e me ne fotto perché non posso fare a meno dell’appagamento della mia egoistica individualità) ma anche come regolazione della vita nella dimensione privata. Un’ipertrofia dell’Ego, guarito dalla sola panacea del “Vaffanculo” a ciò che opprime e che deliberatamente viene inteso per potere marcio che vuole ostacolare la mia crescita e la mia persona, che oggi esplode rigonfio e col suo putrido contenuto rischia di infettare gli altri. In ogni senso. La cultura del “Vaffanculo” è la semplificazione massima dello sforzo, in piena resa dei tempi al dogma dell’iperconsumo che nasce dall’iperproduzione, del neoliberismo, dell’estrema vita materiale che regola la vita reale, fondata sulle isterie dei mercati e dei mercanti. La riduzione dello sforzo ad atto immaginario, liquidato, simbolicamente, in una parola. Sforzo del non compiuto, quindi, che, per sua natura, annulla il sacrificio, come atto eroico ed erotico “muoio, come atto necessario, quando è necessario. Non potete ridurre la mia socialità. Vado al mare a Ostia anche ora, perché il mare fa bene”. “C’è un dramma oggi: si pensa senza sforzo. Semplificando lo sforzo, il cervello lavora meno. È un muscolo il cervello: s’inflaccidisce. È tutta una civilizzazione che è condannata dal lato confortevole della vita”, afferma in un’intervista del 1958, il demone santo della sfiducia negli uomini, Louis Ferdinand Céline

Tapparsi le orecchie e frignare più forte.

Costoro pretendono diritti. Diritto al lavoro, ad avere una vita dignitosa, diritto di sentirsi rappresentati e di votare. Di contare tutti allo stesso modo. Il diritto di veder rappresentate le loro chiacchiere da bar, scomodando Ortega y Gasset, e con esse costruire il presente pubblico, di vedere le proprie emozioni diventare esclusiva guida e governo, di veder i loro capricci elevati a diritto, e poi a norma di legge, di sentirsi rappresentati, di veder colmate le proprie necessità di sopravvivenza. Costoro, che popolano i peggiori incubi di Flaiano, Prezzolini e Longanesi sommati, pretendono diritti ma dove sono al supremo, solenne, urgente momento dei doveri? Dove sono?

Ho il terrore di chi, in questo momento, riempie le piazze della movida romana, di chi non sa rinunciare a un aperitivo, di chi sottovaluta, si pomicia per strada incurante. Sottomesso alla propria superficialità ci mette tutti in pericolo. Come può essere anche di questi la civiltà? La civiltà corrosa da un tempo che vuol discolparsi da tutto perché incapace di assumersi le proprie responsabilità. Io, chiuso dentro casa, con le relative difficoltà sul lavoro, nei pagamenti e negli spostamenti, dovute anche al NECESSARIO sacrificio patrio, nazionale, semplicemente personale, come chiunque di buon senso, per sé e per gli altri, seguendo la saggezza e la legge, noi tutti che siamo fermi, pur non essendo certamente un piacere gettato nell’ignoto, come possiamo condividere con costoro i luoghi e i modi della medesima civiltà?

Allora sì, ha ragione il prof.Eugenio Capozzi, già autore dell’ottimo “Politicamente corretto: breve storia di un’ideologia” : “Nella storia saremo ricordati come il popolo che morì di apericena, si estinse sullo ski-lift, si dissolse nei baretti, con un bicchierone di Spritz in mano e la parmigiana di mammà nel trolley”. Allora sì che ha ancor più ragione il già evocato Céline, quando parla, in un’altra intervista, degli “uomini usciti dalla vita”, che ormai confondono le geometrie del reale. Queste sue parole sono perfette per racchiudere le sfumature da cogliere e da adattare a quanto stiamo vivendo: “Gli uomini si occupano di questioni volgarmente alimentari o aperitive; bevono, fumano, mangiano, sono usciti dalla vita. Digeriscono. La digestione li coglie completamente: il loro cervello, il loro corpo. Non hanno più niente, solo la pelle. Gli uomini li vedo totalmente assorbiti da funzioni bassamente digestive. È l’istinto di conservazione. Abbiamo a che fare con dei mostri. Che si tratti di francesi, gialli o rossi, è l’istinto di conservazione a dominarli. Ne sono avviluppati, hanno chiuso. Basta qualche chiacchiera, qualche farfugliamento, grandi vanità, una decorazione, accademie: eccoli soddisfatti”.

Sbaglierò, nel mio delirio isolato e mattutino, ma, appurata la pericolosa fragilità dell’apparato governativo italiano, il problema sussiste, persiste, peggio di ogni virus, negli uomini, specialmente nell’assenza degli uomini, grande dramma di questo tempo, o della sovrabbondanza degli uomini replicanti, incapaci di essere sovrani di se stessi, alla ricerca dell’integrità, viventi solo come parte di un meccanismo superiore. Ogni virus, ogni idea, ogni guerra, ogni screzio può animare questo mondo. Si può prendere ogni misura in tempo di guerra o in tempo di pace. Ma se la prendono uomini lucidi, integri, consapevoli, coscienti, pronti, preparati, c’è speranza che produca beneficio. Il resto è pericolo. Estinzione.

Detto questo, in questo spazietto ritagliato, desidero ringraziare dal profondo del cuore, chi vive la trincea e chi la sostiene: personale sanitario a vario titolo, medici, infermieri, che stanno illuminando la notte più buia d’Italia e si stanno caricando sulle spalle il peso della storia. E insieme, Esselunga, Armani, Eurospin, tutte quelle aziende e quei marchi che, in queste ore drammatiche, stanno donando denari fondamentali utilissimi al contrasto di questa bestia immonda con la corona che, italiani al cazzo di mare a parte, rimanderemo all’inferno!

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