Jane Austen e la cura omeopatica contro gli eccessi di spontaneità
Magari sono lì, nel reparto di letteratura inglese, da tanti anni. Uno accanto all’altro. Due? Tre? Quattro? Magari vi siete spinti a comprare l’edizione completa dei romanzi di Jane Austen sperando in un buco temporale nel quale sistemarvi con questo bel tomo tra le mani per “vivere” in un ambiente dove si va in giro con i calessi, dove si lasciano i biglietti da visita alle porte delle case, dove la cosa più eccitante per una ragazza è una corsa veloce giù per una collina (Ragione e sentimento), oppure saltare dal Cobb di Lyme Regis (Persuasione) sperando di cadere tra le braccia di un aitante capitano della Marina britannica. Poi arriva vostra figlia, appena entrata a infoltire i ranghi dell’esercito degli apatici teenager. Vede quei libri e sorride. Le hanno detto che parlano tutti di promesse (a volte mantenute, a volte no) di matrimonio. Insomma una roba per zitelle dell’Ottocento! E poi, bofonchiano queste teenager, li hanno visti tutti quei film tratti dai suoi romanzi. Dei veri polpettoni, melensi e noiosi! E fin troppo sdolcinati (arrivano ad aggiungere quelle, tra le vostre figlie, con un vocabolario un po’ più ampio). Voi provate a giustificarvi. Balbettate che comunque si tratta di grandi romanzi. E non certo di semplici romanzetti d’amore. Arrivate al punto di citare Virginia Woolf (no, dico: Virginia Wolf!) che definiva la sua collega “l’artista più perfetta tra le donne”. E questo perché sapeva mescolare un uso sapiente dell’ironia con una costruzione edificante del plot. E’ vero! Bisogna confessarlo apertamente. Il buonismo ha una madrina certa: proprio l’autrice di Emma e dell’Abbazia di Northanger. Però i cattivi dei suoi romanzi fanno in generale una pessima figura non con i tratti caricaturali propri della letteratura di serie B ma con i connotati più universali che ci accomunano tutti. Potete quindi andare orgogliosi di quei volumi e spingervi addirittura a consigliarne la lettura. Magari qualcuna di queste teenager potrebbe ricevere dalla lettura degli stessi una sorta di cura omeopatica contro gli eccessi di spontaneità e contro la superficialità delle passioni. Magari qualcuna di loro (magari le stesse che sanno il significato di “sdolcinato”) potrebbe capire che il buon senso non è sinonimo di ignavia e che la moderazione è pur sempre una virtù (oggi sicuramente più di duecento anni fa).