La buona tv è solo tv. La lezione di Masterpiece
Ok ci possono essere delle scivolate imbarazzanti, delle gaffe, dei piccoli e innocenti infortuni. Ma anche in questo risiede il bello di un talent show. Mettere alla prova i concorrenti e testarne qualità e capacità di reazione può portare a fuori programma che spesso sono come il cacio sui maccheroni, rendono il tutto ancora più sapido. Poi i giudici devono ovviamente fare la loro parte: essere brillanti, telegenici, simpatici e odiosi a un tempo. Aggiungiamo a quanto detto un sapiente montaggio, una scenografia accattivante, una regia lucida e furba, e il gioco è fatto. Stiamo parlando di televisione. Nient’altro che di televisione. Anche se i concorrenti aspirano a diventare dei novelli Baricco (a nessuno oggigiorno verrebbe in mente di aspirare al posto che fu di Gadda o Volponi). Giudicare Masterpiece (in onda la domenica sera su Rai 3) partendo dal presupposto che aspira a parlare di letteratura è fuorviante e dannoso. Questo format tutto italiano è arrivato alla fase finale. Tra poco sapremo chi è il fortunato concorrente che vedrà il proprio elaborato pubblicato da Bompiani come premio per la vittoria. Eppure le polemiche non si fermano. Ieri ho casualmente guardato la quinta puntata della fase finale. Avevo già visto molte delle puntate della prima fase e conoscevo bene, quindi, il meccanismo che governa il talent. Le selezioni e le prove di ieri erano tutt’altro che facili. Soprattutto per chi – come i concorrenti di Masterpiece – non è un addetto ai lavori. Eppure questi “scrittori della domenica” hanno dato ottime prove di adattabilità e di reattività. Certo non sono molto telegenici e non mostrano un egocentrismo sfacciato, presente invece nel 99% delle persone che aspirano a mettersi davanti a una telecamera. E’ stato chiesto loro di scrivere in poco tempo degli sms, degli incipit di romanzi o brevi elaborati con temi e confini molto rigidi. Questo il succo del gioco televisivo. Per renderlo appetibile per il pubblico a casa, ovviamente serve una cornice adeguata. Un montaggio veloce e intelligente, come una regia furba e accattivante. Poi ci sono loro i giudici: Giancarlo De Cataldo, Andrea De Carlo e Taiye Selasi. Ottimi scrittori, naturalmente, ma anche personaggi telegenici, sicuri di sé, intraprendenti e vivaci. Chi ha confezionato il prodotto ha secondo me fatto un ottimo lavoro anche dal punto di vista del reclutamento. E pazienza se non è letteratura. La cosa davvero strana e curiosa, l’unica sinceramente inaspettata, è il livore di chi va sui social network a spandere giudizi velenosi sulla trasmissione. Ovvio che criticare è legittimo. Ci mancherebbe! Però non si capisce perché le critiche al programma partono dal presupposto che “non è letteratura”. Presupposto – a mio modesto avviso – del tutto sbagliato. Visto che appunto non è letteratura e non pretende si esserlo. Porto un solo esempio (ma ovviamente se ne potrebbero fare a centinaia, il web ne è pieno) di queste critiche al vetriolo. “Masterpiece? C’è più letteratura in un punto Snai” L’autore di questo apodittico commento è Fulvio Abbate, ottimo scrittore – va precisato – e ancor più stimabile per la sua indipendenza di giudizio. Però qui parte da un presupposto sbagliato. E con lui tutti coloro (e sono davvero tanti) che approvano la sua battuta e si uniscono al coro.
In questo spazio vorrei però sottolineare che non c’è attività più solitaria della lettura. Anzi sì, una ce n’è. Ed è proprio la scrittura. Quindi partendo da questa facile osservazione si può ben capire che la letteratura è sempre al di là di qualsiasi forma di organizzazione collettiva. Compresi i corsi di scrittura, ormai accettati da tutti ma fino a qualche lustro fa strenuamente ostracizzati dalle elitè. Masterpiece, allora, non ha niente a che fare con la letteratura e non lo nasconde. Semmai aiuta a spiegare alcuni meccanismi che regolano la scrittura creativa. E in questo senso la televisione è ancora uno strumento utile di diffusione culturale. Tutto qui.