Modiano, il Nobel, e una burocrate troppo zelante
L’unica domanda da porsi, ora che il caso Fleur Pellerin è scoppiato, è la seguente: cosa sarebbe accaduto da noi, in Italia, se il ministro della Cultura avesse confessato di non leggere da anni un romanzo o un saggio e di non aver letto alcuno dei libri del nostro ultimo premio Nobel? Mettiamo che un nostro scrittore di prestigio (ne abbiamo, basta spulciare con pazienza – molta pazienza – i cataloghi) arrivasse oggi a conquistare il tanto prestigioso premio letterario. Che succederebbe? Tutti a salire sul carro del vincitore? Niente affatto. Da noi siamo più bravi e inclini a disprezzare quanto c’è di buono entro i confini patrii piuttosto che esaltarlo e promuoverlo. Quindi è presumibile che il vincitore in questione – come accadde per Dario Fo, ultimo italian winner nel 1997 – venga fatto oggetto di aperte critiche da una parte del mondo intellettuale e difeso a spada tratta dalla fazione opposta. E il ministro della Cultura? In un simile quadro, quale comportamento dovrebbe osservare? Va da sé: dovrebbe difendere l’autore (ormai divenuto, grazie all’Accademia svedese, “prestigioso”) e farne le lodi pubblicamente. C’è da pensare, però, che in questo caso sarebbe “costretto” a leggersi qualcuno dei suoi testi. Non tutti. Magari un paio. Giusto i più rappresentativi. E nel caso – se interrogato da rappresentanti del mondo dell’informazione – dire la sua. Si presume, infatti, che il ministro della Cultura disponga di una solida cultura di base. Magari di una laurea. E che comunque sia avvezzo alla lettura e al consumo di produzione culturale. E se dicesse che non ha tempo per simili cose? Se confessasse candidamente, come ha fatto la ministra francese di origine coreana Fleur Pellerin incalzata sul “caso” Patrick Modiano, fresco vincitore del Nobel, che da anni è troppo impegnato a lavorare e a studiare carte, testi giuridici e bozze di legge per poter “perdere tempo” con i romanzi?
Non è facile arrivare a una conclusione. E’ vero che siamo tentati di fare come la gran parte dell’opinione pubblica francese, che ha stigmatizzato le confessioni della Pellerin. Tuttavia è pur vero che la signora in questione è davvero una che lavora sodo e che vanta profonde competenze nella gestione della cosa pubblica e nel diritto amministrativo. Insomma un tecnico, abile e preparato, con una forte coscienza civile e un’altrettanto corposa passione politica (milita nelle file del Partito socialista di Francois Hollande).
In fin dei conti la scena politica nostrana è già piena di consumati improvvisatori. Di persone che senza alcuna competenza strologano su qualunque argomento. Tuttologi di chiara fama e appassionati difensori del made in Italy. Questi signori la Pellerin continuerà a guardarli dall’alto in basso con uno sguardo di malcelata sufficienza. Tuttavia è innegabile che un ministro della Cultura debba esser preso dal demone della curiosità intellettuale. Difficile perdonarle almeno questo. In fondo si presume che il suo compito sia principalmente quello di difendere il grande e prezioso tesoro della cultura transalpina. E dunque come è possibile che un simile compito venga affidato a una persona che non sente il bisogno di conoscere il lavoro dell’ultimo entrato nel Pantheon letterario?
Per non parlare poi dell’esempio. Tra i compiti del ministro della Cultura c’è ovviamente anche quella della promozione della lettura, soprattutto tra i giovani. E la confessione della Pellerin sembra tutto tranne che uno spot della “pubblicità progresso”.