Su questo blog, qualche tempo fa, abbiamo ricordato che i personaggi “migliori” dal punto di vista letterario non sono certo i santi o gli eroi. I caratteri più avvincenti sono quasi sempre quelli che si trovano a loro agio nell’ombra e soprattutto che si muovono al confine tra il bene e il male con un’agilità diabolica. Loro diventano eterni – spiegano gli esperti – perché esorcizzano le nostre paure e le nostre debolezze, e perché ci aiutano a renderci immuni dai loro stessi “difetti”. Un pirata, in questo senso, vale ben più di un’infermiera o di un missionario. Ne sa qualcosa lo scrittore svedese Bjorn Larsson, vittima qualche lustro fa di un agguato prettamente pirandelliano. Un personaggio ambiguo come Long John Silver è uscito fuori dall’ergastolo d’orato dell’Isola del Tesoro per chiedere un ruolo da protagonista. Non solo. Pare che le sue esigenze fossero affatto esistenziali. Voleva, quel filibustiere con la gamba di legno, una vita piena, qualcosa di più dell’immortalità letteraria. Non gli bastava, insomma, che generazioni di lettori si appassionassero dei suoi maliziosi sotterfugi ai danni di Jim Hawkins, del dottor Livesey, del signor Trelawney e del capitano Smollet (tutti figli del genio scozzese di Robert Louis Stevenson). Long John Silver voleva l’immortalità che solo una vita “non inutile” riesce a dare. Un’esistenza che alla fine non si perde, come ripete lo stesso Bjorn Larsson, come “una goccia di rugiada che evapora nel nulla”. Quasi alla fine del romanzo La vera storia del pirata Long John Silver, il protagonista indirizza al non più giovane Jim Hawkins una lettera che accompagna la sua autobiografia. Fatica, quest’ultima spiegata da una semplice volontà: dimostrare di non essere stato sulla Terra come una semplice “cacatura di mosca”. “Volevo che John Silver – scrive il pirata parlando di sé in terza persona – non avesse una cattiva reputazione, che non si prendesse per oro colato tutto quello che era stato detto sul suo conto, che avesse l’ultima parola, com’era sua abitudine, o almeno potesse dire la sua, e che la gente sapesse che anche lui era una specie di essere umano, solitario e singolare, con la sua maledetta mania di avere le spalle libere, ma pur sempre un essere umano”. La citazione l’abbiamo presa da pagina 472 della diciannovesima ristampa del volume edito da Iperborea. La prima volta che questo “romanzo nel romanzo” è arrivato nelle librerie italiane era il 1998. Da allora sono state bruciate tantissime edizioni. Segno che stiamo parlando ormai di un long-seller (se non di un classico contemporaneo). Insomma di un libro che può tranquillamente trovare uno spazio nella libreria da consegnare a chi viene dopo di noi. Ora proviamo a spiegare i motivi del suo successo. Innanzitutto si tratta di un’operazione affatto letteraria. Di quelle sofisticate e intelligenti. Che appassionano soprattutto i lettori più esigenti. Perché, se è vero che Long John Silver, chiede a gran voce al Pirandello svedese una nuova vita e una nuova “possibilità”, è anche vero che non perde le sue caratteristiche diaboliche, il suo carattere e soprattutto i suoi cattivi pensieri. Al contrario. Si umanizza perché quegli stessi difetti vengono contestualizzati con intelligenza dal suo autore che non si limita a un lavoro di invenzione, ma inserisce le avventure marinare di Long John Silver, in una cornice precisa e puntuale della vita sulle rotte marinare nella prima metà del XVIII secolo, vale a dire nel periodo “migliore” per la pirateria (e per il commercio di schiavi). Ci ritroviamo, poi, da adulti, a scorrere le pagine di un romanzo per lettori maturi, senza perdere la fascinazione che Stevenson ci regalò da ragazzi con la storia del leggendario tesoro del capitano Flint. In più Larsson ci offre un gioco di specchi e di rimandi letterari degno del miglior Borges. Non soltanto il suo romanzo prosegue – in un certo senso – la storia resa immortale da Stevenson ma lo fa attraverso il più classico degli espedienti metaletterari con il manoscritto autobiografico di Silver da spedire in Inghilterra affinché renda giustizia della vita “non inutile” del suo autore, per il quale i giudici di Bristol avevano già emesso una condanna a morte in contumacia. In più Larsson si permette, proprio come già fatto da Stevenson in precedenza, di prendere in giro il grande Daniel Defoe. E non solo per il suo capolavoro (Robinson Crusoe) quanto per l’altrettanto celebre Le avventure del capitano Singleton e per il suo saggio Vita di pirati (le cui ultime edizioni risalgono al 2002 e 2004 per Mondadori), entrambi pieni di “sfondoni” storici e di “licenze” molto romanzesche. Ancor più romanzesca del romanzo stesso è, poi, la bibliografia sfruttata da Larsson per confezionare la storia del pirata Long John Silver. Nel suo recente Diario di bordo di uno scrittore (uscito quest’anno sempre per Iperborea), Larsson ricorda che alla base delle sue ricerche c’è il volume A general history of the pyrates a firma di un fantomatico capitano Charles Johnson la cui vera identità non è mai stata accertata, anche se molti filologi inglesi reputano possibile che dietro questa firma si celi lo stesso Defoe. Larsson, insomma, è partito da due semplici domande: cosa è successo prima? e cosa accade dopo? della fascinosa impresa della Hispaniola, guidata dal capitano Smollet. Lo scrittore svedese voleva a buon diritto dipanare la nebbia che avvolgeva il pirata con una gamba di legno e vedeva tutti i buchi del racconto stevensoniano come autentiche sfide per una mente fantasiosa come la sua. E chissà che in futuro qualcuno parta proprio da qui per regalarci un’altra storia piena di fascino e ricca di emozionanti avventure.

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