Se Stendhal avesse conosciuto Macron
La vita e soprattutto le ambizioni di Julian Sorel sono moderne? Questo mi chiedo una volta finito di leggere il celebre romanzo di Stendhal Il rosso e il nero. Lettura adatta oggi? Non so rispondere. D’istinto direi proprio di no. Però in effetti si tratta di un romanzo ancora capace di regalare forti emozioni al lettore e soprattutto di offrirgli moniti molto utili sulla deriva che può prendere l’ambizione. Il figlio di un umilissimo carpentiere di Verrières (località d’invenzione, visto che lo scrittore voleva evitare ogni rischio di processo per diffamazione) dimostra fin da ragazzino una memoria e un’intelligenza prodigiosa. Il buon parroco che lo prende sotto la sua protezione gli insegna quello che può. Ma anche i libri di un curato sono pochini. Alla fine Julian diventa una sorta di fenomeno da baraccone. E nei salotti piccolo-borghesi di Verrières se lo contendono per farsi recitare brani a caso delle Sacre Scritture (opera completamente mandata a memoria del figlio del carpentiere). E da qui inizia la “carriera” di Julian. Perché di un carrierista si tratta. E questo è evidente fin dalle prime battute del romanzo. Finisce per fare da precettore ai figli del sindaco. Ma questo è niente. Finisce per diventare l’amante della moglie di questi. Una donna ben più grande di lui. Che non solo cadrà ai suoi piedi, completamente soggiogata dal suo fascino. Ma che arriverà al punto di sgrossarne i modi e soprattutto di affinarne anche ambizioni e punti di vista. Alla fine, sarà impossibile trattenerlo in provincia. Troppo angusta per un “abatino” con la segreta (molto segreta) ambizione di emulare la carriera militare di Napoleone. Siamo infatti negli anni della Restaurazione. Anni in cui non solo il Bonaparte, ma in genere tutto il bonapartismo, anche a livello più propriamente ideologico e culturale, sono moneta fuori corso. A comandare, continua a dire fra le righe del romanzo Stendhal, sono gli ordini religiosi (giansenisti e gesuiti in testa) e i nobili. Soffocato dalla provincia il giovane precettore scappa a Parigi dove viene assunto dal marchese De La Mole come segretario. Qui ovviamente Sendhal ha gioco facile di raccontare la vita dei salotti parigini del periodo della monarchia costituzionale di Luigi Filippo. E l’aristocrazia descritta non ne esce bene. In questa cornice, Julien ha tutto il tempo e l’agio di corrompersi definitivamente. Ovviamente seducendo la figlia del suo benefattore e mettendola incinta. Gli avvenimenti sul finale del romanzo corrono veloci, come un mezzofondista che abbia risparmiato forze e fiato per un allungo decisivo. C’è anche un tentativo di “femminicidio” (come direbbero i giornali di oggi) e un processo farsa (sempre come direbbero alcuni giornali oggi). Poi c’è un rito funebre fin troppo macabro che contrasta con i tempi e ricorda atmosfere più proprie di un romanzo gotico.
Alla fine per voler vestire di modernità questo romanzo non resta che fantasticare su uno Stendhal dei giorni nostri. Uno che potrebbe prendere quindi come modello niente meno che Emmanuel Macron. Un giovane molto ambizioso e determinato che dalla provincia parte alla conquista di Parigi. Magari con al fianco una donna più matura che lo aiuta ad affinare modi e a rendere più chiare le proprie ambizioni. E sempre con la paura dell’opinione pubblica (come hanno dimostrato le ultime uscite del nuovo presidente della Repubblica francese). La stessa paura che ha condizionato la vita di Julian Sorel. La stessa paura dell’opinione pubblica che ha ossessionato il suo stesso autore, che ha fatto morire la prima amante di Sorel (la signora de Renal) nientemeno che di crepacuore e proprio a causa delle malelingue di provincia. Tanto che l’ammonimento finale del romanzo è addirittura una nota a pie’ di pagina. Che chiude letteralmente la storia lugubre e tristissima di Julian e delle sue due donne. Ed è una nota che la dice lunga sul giudizio di Stendhal riguardo l’opinione pubblica e la democrazia. “L’inconveniente del dominio della pubblica opinione – sfrutto qui la traduzione di Ugo Dettore per Rizzoli -, che d’altra parte assicura la libertà, è che s’immischia di ciò che non la riguarda: per esempio della vita privata. Di qui la tristezza dell’America e dell’Inghilterra”. Non sarebbe male, a questo punto, proporre la lettura de Il rosso e il nero ai corsi di deontologia professionale dei giornalisti.