Quando hai un libro del cuore vuoi sapere tutto del suo autore. O quanto meno cerchi avidamente negli altri suoi titoli suggestioni altrettanto forti di quelle che ti hanno fatto innamorare del primo. Non è ovviamente interessante che il mio libro del cuore sia Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Spero lo sia, invece, questo post nel quale racconto di un nuovo innamoramento e di una nuova folgorazione. Mi sono recentemente imbattuto nei suoi racconti. I primi che questo scrittore a tempo pieno (con una laurea in medicina nel cassetto) ha scritto a metà degli anni Venti.

L’edizione che ho in mano io è quella della Bur (Racconti fantastici, con un’ottima introduzione di  Vladimir Laksin). Contiene quattro piccoli capolavori. A iniziare da Diavoleide. Per proseguire con Uova fatali, Cuore di cane e Le avventure di Cicikov. Tutta produzione narrativa che precede il suo capolavoro. Testi nei quali, comunque, è già ben evidente dove andrà a parare il talento narrativo di Bulgakov. Come spiega Laksin nella sua introduzione questi testi sono fondamentali perché “costituiscono la prima vera presa di contatto dell’autore con il proprio stile e con i propri materiali”. Vale a dire quella scrittura satirica e quelle visioni fantastiche che costituiranno i pilastri dei suoi lavori più maturi.

Diavoleide, per esempio, mette al centro della scena una sorta di rozzo archetipo del Voland del Maestro e Margherita. E in più offre in una sapiente miscela in cui confluiscono personaggi grotteschi e gogoliani, e il sapore acre di una beffa infinita perpetrata ai danni di un povero impiegato. Sembra quasi di vedere anche qui un altro archetipo: quello del povero ragionier Fantozzi. Nella sua infinita via crucis il compagno Korotkov sembra il personaggio di Paolo Villaggio. Costretto a subire angherie senza senso da una burocrazia cinica e surreale. Viene licenziato senza un motivo e prova in tutti i modi a perorare la sua causa con il capoufficio. Ma il luogo di lavoro si trasforma in un assurdo labirinto dove si aprono scale e porte ma dove è impossibile riuscire a bloccare il capo, sempre di corsa per raggiungere qualche luogo di riunione. Un incubo kafkiano alleggerito dalla vena satirica di Bulgakov. Una dimensione onirica che torna anche nell’ultimo racconto. Parodia, quasi un esercizio di stile gogoliano (Le avventure di Cicikov).

La modernità di Bulgakov però è tutta nei due racconti centrali (i più lunghi e i più densi e innovativi). Uova fatali e Cuore di cane.

Dove la ubris scientifica, la miopia ideologica e l’imprevedibilità del cuore umano si mescolano in un paio di affreschi davvero profetici. La satira mette a fuoco la realtà, mentre il fantastico ammonisce sulle possibili conseguenze. In Uova fatali Bulgakov ride del presente mentre prefigura un futuro allarmante.  D’altronde l’artista vede più lontano del politico. E già negli anni Venti Bulgakov vestiva i panni di una moderna Cassandra. “Nella cupa allegria della sua arte – sottolinea Laksin – si perpetuava la tradizione di amore per la verità e per l’umanità, della letteratura russa”.

Il fallimentare esperimento del professor Persikov (biologo innamorato di rettili e anfibi) porta a una catastrofe apocalittica: vaste regioni della Russia invase da rettili e alligatori davvero pericolosi e spietati. Dove la scienza fallisce, dove l’avidità umana impazza, il rischio di una catastrofe è dietro l’angolo (come sospettano i complottisti che vedono nel Covid un esperimento di laboratorio sfuggito di mano). Per nostra fortuna (e soprattutto per la buona sorte degli abitanti di Mosca della fine degli anni Venti) Bulgakov ha un cuore generoso e lo scrittore si inventa un improbabile deux ex machina. Perché non c’è nulla di più improbabile che una mini glaciazione (appena due giorni) a fine agosto. Utile però per uccidere i milioni di rettili che stavano minacciando la sopravvivenza stessa dalla Russia sovietica.

Se è già sublime questa trovata, il tocco del capolavoro arriva a pagina 279. Nel pieno del racconto Cuore di cane quando Pallino, divenuto ormai Pallinov, grazie a un’azzardata operazione chirurgica che nemmeno Mary Shelley avrebbe osato proporre al lettore, offre agli scienziati che condividono con lui un grande appartamento moscovita una lettura semplice e ardimentosa del comunismo. “Siete un essere ancora debole sul piano mentale – lo redarguisce il professor Preobrazenskij – tutte le vostre azioni sono ancora quelle di un cane, ed ecco che in presenza di due persone che hanno finito l’università vi permettete, con una disinvoltura assolutamente intollerabile, di dare consigli su scala cosmica e di dire una sciocchezza cosmica su come dividere tutto… e questo quando solo l’altro ieri vi siete ingozzato di dentifricio”.  È il mostruoso Pallinov col cuore di cane a dare una semplice (quasi evangelica) visione del comunismo. Ma i due luminari non accettano. E tuttavia dietro la loro insopportabile sicumera si nasconde per paradosso la libertà di Bulgakov di criticare il regime sovietico. Un capolavoro da vero giocoliere dell’arte del racconto.

E la sua stessa denuncia della deriva della scienza non è soltanto una difesa dell’umanesimo ma ancor più compiutamente una difesa della libertà. Preobrazenskij fa autocritica: inutile impiantare l’ipofisi di un uomo su un cane. L’eugenetica potrà pure fare passi da gigante nel futuro ma i geni nascono ancora secondo natura. Dal ventre di una donna, in maniera piuttosto casuale. “Spiegatemi che bisogno c’è di fabbricare artificialmente degli Spinoza quando una donna qualsiasi primo a o poi può metterne al mondo uno?” Già perché tanta inutile fatica quando basta una bellissima notte d’amore?

 

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