Lo sai. Ne sei convinto. E le centinaia di migliaia di parole che Charles Dickens assembla per comporre Casa desolata non ti deludono. D’altronde è un classico e la garanzia ce l’ha stampata già nel frontespizio dove si legge nome e cognome dell’autore. Devi fare i conti con un lungo, lunghissimo romanzo. E i tempi sono sempre stretti. Oggi la lettura è più difficile di un tempo: troppe distrazioni, troppi impegni. Per chi ce la fa, per chi arriva in fondo, la soddisfazione tuttavia è grande. Casa desolata (edizione Einaudi, con traduzione di Ettore Capriolo, e un saggio introduttivo scritto di Vladimir Nabokov) è un classico e dunque raccomandabile. Di cosa parla? Di tante cose. E, come ogni grande libro che si rispetti, offre innumerevoli chiavi di lettura. E’ la storia di una dimora: Casa desolata. E il nome non deve trarre in inganno. E’ la dimora di John Jarndyce. Ci vive da solo, almeno fin quando non decide di diventare tutore di tre ragazzini. Due di essi sono suoi parenti (Ada e Richard). La terza è solo in apparenza una semplice orfana bisognosa di protezione. Si chiama Esther Sommerson ed è lei la protagonista del romanzo. Vediamo quasi tutto con i suoi occhi e le parole con cui viene raccontata la storia sono quasi sempre le sue. E’ una ragazza forte ma al tempo stesso facile alla commozione, generosa e allo stesso tempo capace di ogni sacrificio. Insomma una ragazza con un solo difetto: non avere difetti. Le vite dei quattro protagonisti sono intrecciate a quelle di decine di altri personaggi altrettanto importanti. Si va da umili impiegati, a fattori, ad avvocati, governanti, nobili ricchi e nobili parassiti. E il romanzo in sé sfrutta molti canoni.

Forse, agli occhi di qualche lettore moderno dai gusti difficili, Dickens sembra mettere troppa carne al fuoco. Il romanzo, infatti, sembra un caleidoscopio di generi e di registri: dal comico al satirico, dall’umoristico al melodrammatico, dalla commedia larmoyante alla critica sociale. Per non parlare poi della crime story, con tanto di investigatore sagace e invadente, che si inserisce e svolge come una delle tante trame di questo straordinario arazzo, senza divenirne la ragione essenziale, rappresentando però uno dei primi esempi di questo genere di narrativa nella storia del romanzo moderno.

Il romanzo sa anche essere molto moderno nella sua satira sociale. Prende di mira il sistema giudiziario inglese e soprattutto attacca senza risparmiare frecce avvelenate la classe dominante. Anche le femministe di oggi sarebbero soddisfatte della loro eroina: donna emancipata e sagace, capace di superare le difficoltà senza doversi aggrappare alla spalla di un uomo ma pronta sempre a cedere il passo ai suoi sentimenti più generosi nei confronti di chiunque, senza pregiudizi e moralismi.

Forse con i grandi bisogna essere indulgenti e pazienti. Lasciarli fare. Seguirli. E intanto godersi una prosa magnifica (cui la penna di Capriolo rimane fedele nelle intenzioni e nei risultati). Bisogna aspettare di vedere i colpi di scena, le agnizioni, le confessioni. E aspettare il finale di partita (del quale mi guardo bene di parlare). E ammettere, a chiusura del libro, che è un capolavoro letterario quasi senza pari perché affida alle parole la capacità non solo di raccontare un mondo ma di aprirci gli occhi sulle pieghe più riposte dell’umanità.

Dickens ci regala un grande romanzo. Pieno di cose. Come un baule dimenticato in soffitta per qualche generazione e che un bambino annoiato apre in un uggioso pomeriggio di pioggia. E dal quale esce di tutto. Gli oggetti, i più diversi, le testimonianze di persone e personaggi, luoghi e momenti, che riprendono vita nelle mani del bambino. Ecco, noi siamo quel bambino e Casa desolata è uno splendido baule pieno di sorprese.

 

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