Un classico è un libro che ha sempre qualcosa da dire. Lo abbiamo ripetuto più e più volte. La grande sfida è immaginare un futuro di classicità ai testi di oggi. Ovvero immaginare quanto sia universale il loro messaggio e quanto profondo il sottotesto, tanto da poter essere “pescato” e “sfruttato” dalle prossime generazioni di lettori. Queste perle rare spiccano in un mondo popolato da tanti testi che sono già invecchiati da un po’. E che a rileggerli al presente fanno vedere chiaramente tutte le proprie rughe e la propria inattualità. Poi ci sono quei testi che invece di invecchiare ringiovaniscono col tempo, come secondo me accade ne Il pendolo di Foucault, dove troviamo addirittura qualcosa di profetico.

A distanza di 35 anni, infatti, una seconda lettura del secondo romanzo di Umberto Eco (dopo il successo planetario de Il nome della rosa) mi porta a dire che questo romanzo dedicato alle follie ermetiche di complottisti e di cabalisti ha un messaggio che resiste nel tempo. Anzi profetico in più punti. Ma andiamo con ordine.

Il romanzo è ambientato ai tempi in cui i computer non erano una novità ma ancora un “esperimento”. Siamo a Milano, terra di industria culturale ma anche di editoria a pagamento. Con imprenditori che fanno soldi sulla vanità di saggisti della domenica e di poeti da strapazzo. Se inserite nella storia un personaggio/narratore che sia giovane, molto portato per gli studi bibliografici (come Eco), preso dal sacro furore della ricerca libraria (sempre come Eco) e dalla vastissima cultura (che, come spiega Eco, è quella capacità di saper collegare due temi/soggetti apparentemente molto lontani) avete ottenuto la creta dalla quale verrà stilizzata la storia. Ora vi serve un ritmo, un’andatura. Scegliete il generoso divagare dell’erudito, unito al contrappunto della cadenza del thriller. Ed ecco gli ingredienti di questo sapido, sapidissimo piatto di portata.

Rileggerlo è stato un piacere, che mi consente di dire che si può consigliarne la lettura. Però questo non basta per farne un testo profetico. Per arrivare a questa sentenza serve spiegare perché. Ed è presto detto. Il gioco narrativo ha bisogno di puntare l’indice contro una categoria ben precisa: i complottisti ignoranti, vale a dire coloro che sono sempre convinti che dietro buona parte dei fatti storici si nasconda una trama tessuta da forze oscure (o poteri forti) difficilmente smascherabili.  Un grande scrittore inglese, Gilbert K. Chesterton, aveva riassunto con una battuta quello che Eco ci dice in 500 pagine: “Da quando gli uomini non credono più in Dio non è che non credono a nulla, credono a tutto”.  Eco approfitta del mondo dei creduloni, di tutti quelli che continuano a crogiolarsi nella convinzione dell’esistenza di ordini cavallereschi segreti in grado – nel corso dei secoli – di dirigere e condizionare le sorti dell’umanità. Poi ci sono anche i vangeli apocrifi, la Kabala, i testi esoterici, e tutte le speculazioni ermetiche possibili e immaginabili. La profetica capacità del semiologo prestato alla narrativa però dà il suo meglio immaginando un mondo fin troppo simile a quello in cui ci siamo trovati noi nell’ultimo lustro, tra terrapiattisti, complottisti e no-vax. La scienza e la cultura scientifica hanno perso ogni appeal. Le teorie, le più strambe, vanno bene purché diano un corpo e un profilo ben preciso alle nostre paure. Soprattutto è importante trovare colpevoli e “burattinai” che tirano le file da dietro le quinte. “Come i crolli in borsa – scrive a un certo punto il giovane Casaubon/Eco -. Avvengono perché ciascuno fa un movimento sbagliato, e tutti i movimenti sbagliati insieme creano il panico. Poi chi non ha i nervi saldi si chiede: ma chi ha ordito questo complotto, a chi giova? E guai a non trovare un nemico che abbia complottato, ti sentiresti colpevole”. La crisi del Covid ci ha mostrato meglio di altri eventi straordinari che siamo sempre alla ricerca di colpevoli. Una ricerca, questa, che obnubila il nostro buonsenso fino al punto di credere alle teorie più bislacche pur di dare corpo alla consolante teoria di essere – noi – vittime di una segreta strategia.

Rileggere questo romanzo aiuta a vedere con occhio più critico e attento la nostra storia recente. E diverte, poi, constatare come Eco affidi al potentissimo (ma ancora rivoluzionario per quei tempi) computer (chiamato Abulafia) la possibilità di scrivere testi e di sciorinare senza sosta combinazioni di eventi, connessioni e relazioni. Insomma una sorta di ChatGpt capace non soltanto di redigere “capolavori” della letteratura ma anche di fare spiegare complotti e guerre sotterranee.

Insomma, le avventure del giovane Casaubon sembrano corrispondere specularmente a quelle del giovane Marty McFly interpretato nel 1985 (quindi gli stessi anni del Pendolo) da Michael J. Fox. Sì, stiamo parlando del celebre Ritorno al futuro. Il pendolo è un Ritorno al futuro al contrario. Dove il protagonista riesce a preconizzare dal suo lontano passato il nostro presente pieno di incongruenze e stramberie, non solo ai suoi occhi di ragazzo degli anni Ottanta ma anche ai nostri occhi di persone di buon senso.

 

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