Anche con i libri si possono fare affari. Io, per esempio, ho comprato un libro per soli 40 centesimi. Un libro usato, ovviamente. In una bancarella. Appena 116 pagine. Eppure densissime. Un libro che vale mille volte il prezzo pagato. Perché? Una domanda apparentemente semplice. Che, tuttavia, richiede una risposta articolata. Perché rispondendo a questa semplice domanda offro, indirettamente, una risposta anche alla domanda “cos’è la letteratura?”. E cioè quel complesso di parole che usato in economia offre il massimo di senso possibile. Un senso praticamente inesauribile, fatto di rimandi e allegorie.

Sulle tracce di Nives (Mondadori, 2005) è stato scritto da Erri De  Luca e dedicato a Nives Meroi. Una delle poche donne ad aver scalato tutti gli ottomila nella sua carriera di alpinista.

De Luca dialoga con Nives nel corso di un loro lento avvicinamento al Dhaulagiri (8.167 metri) nel nord del Nepal. Si parla di montagna, ovviamente, ma non solo. Perché le condizioni proibitive, la necessità di viaggiare con il minimo indispensabile, il bisogno di sopravvivere quando non ti spinge la necessità ma solo un atto di volontà, sono fattori che avvicinano la vita e la poesia, facendo di questi due rami intrecciati un’unica vite.

Lo stile scabro ed evocativo di De Luca esalta le passioni, i sogni e le paure di Nives. Sa renderli memorabili. Tanto che sembrano ormai scolpiti nella parete della nostra ascensione. Ed è così che impariamo a memoria le parole dedicate agli umili portatori (i cosiddetti sherpa) che, a dispetto delle apparenze, sotto quel sovrumano carico che li schiaccia e ne nasconde la forma, sono i veri maestri di stile. “La bellezza dei portatori sta nei loro piedi che sorreggono il corpo sotto sforzo, posandolo con forza delicata sugli appoggi inventando l’equilibrio a ogni sollevamento di tallone. Riuscire a portare bene il carico assegnato, reggere il peso risparmiando energia: ecco lo stile”.

L’energia dei portatori è sinonimo di vocabolario. Per reggere il peso della vita bisogna dosare bene le parole. Non abusare del loro suono. Sceglierle, bensì, con cura. D’altronde, ricorda lo stesso De Luca in un altro passo del libro, “la poesia non è l’arte di arrangiare fiori, ma l’urgenza di afferrarsi a un bordo nella tempesta”. In alta quota, senza ossigeno, a temperature glaciali, col vento che ti annebbia la mente, ti aggrappi alla vita anche grazie al soccorso della parola. L’ascensione diventa una parabola. Si veste da allegoria della vita e da monito evangelico. “Gli ultimi saranno i primi” è più facile capirlo quando si ritorna a valle. Dove ci attendono coloro che non si sono mossi e che immaginavamo di staccare con il nostro inutile gesto eroico. In montagna – come in letteratura – bisogna seguire le tracce. Ripetere gesti e mettersi sulla scia se si vuole ascendere. Se si vuole godere di un panorama mozzafiato e abbracciare con un solo sguardo uno spazio pressoché infinito. In montagna l’abisso non è sotto o dentro di noi. Ma è una spada di Damocle che pende sopra la nostra testa e che siamo costretti a osservare piegando il collo.

La parola autentica, quella che porta alla scrittura poetica, è frutto di un esercizio di umiltà. Come il gesto dell’alpinista che rinuncia a pochi metri dal traguardo perché il tempo è cambiato e si deve tornare.

Erri e Nives si parlano e si raccontano. Si scambiano dolori, ricordi e passioni.  E la parola, se autentica – quindi scabra ed essenziale –, ha un potere evocativo eccezionale. Come quando sull’Himalaya Nives spiega: “Sono un po’ mediterranea e qualche volta ho nostalgia di metri zero sul livello del mare, infilare il naso in una cozza, condirla con prezzemolo e limone”. Il freddo scompare, la fatica apparentemente si dissolve e per un attimo l’autore ritorna alla sua terra e alla sua giovinezza: “Accidenti, Nives, mi hai resuscitata un’impepata di cozze in Himalaia. Mi hai fatto apparire una spiaggia dell’isola d’Ischia, una baracca che cuoceva a mezzogiorno la pesca dell’alba”.

Quaranta centesimi che valgono una fortuna perché tra le pagine del libro di De Luca si registrano innumeri cortocircuiti dove le parole innescano un significato che dà peso al ricordo dell’esperienza. Non accade spesso. Accade sempre, però, in letteratura. De Luca, d’altronde, fa parte di una generazione di scrittori emersi nell’ultimo decennio del secolo scorso, che ha cercato di dare un peso nuovo alle parole e un compito più onesto alla letteratura. Penso ai nomi di Celati, Lodoli, Busi (solo per citarne alcuni).

Ps

La storia di Nives Meroi meritava un cronista d’eccezione. D’altronde ha scalato tutti i 14 ottomila senza l’ausilio dell’ossigeno e lo ha fatto in compagnia del marito Romano Benet. Stabilendo così un primato davvero unico: la prima coppia a scalare tutti gli ottomila.

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