Mentre i media mainstream di tutto il mondo si concentrano su mascherine e norme di distanziamento sociale, l’economia mondiale, a causa della pandemia da Coronavirus e, soprattutto, delle misure di contenimento applicate dai vari governi, è al collasso. A illustrare la situazione in maniera inequivocabile sono alcuni indicatori. Li riporta un interessante articolo di Mauro Bottarelli su IlSussidiario.net, dove questi spiega, con tanto di grafici, come “il volume di trading sui futures legati al petrolio Wti oggi sia al livello dello scorso dicembre, in piena stagione di vacanza. Praticamente, zero”. Impressionante anche l’indicatore sui licenziamenti negli Stati Uniti, schizzati nuovamente ai livelli della scorsa primavera. Drammatico, inoltre, “il tracollo intraday patito il 1 ottobre dal rame, il proxy dei proxy a livello di attività industriale reale: il tonfo peggiore dallo scorso marzo, esattamente quando la pandemia fece il suo drammatico e roboante ingresso negli Stati Uniti, anticipando di poco il lockdown che ha schiantato il Pil”. 

E mentre, in tutto il globo, ci si prepara a una nuova ondata della pandemia che porterà, ormai è piuttosto chiaro, a nuovi lockdown che renderanno il tracollo economico ancora più violento (probabilmente la reale ragione di quella militarizzazione dei contesti urbani già anticipata, in Italia, dal Governo Conte), minoritarie, come sempre, sono le menti che lucidamente cercano di analizzare quanto stia realmente accadendo a partire da quando il Covid-19 ha fatto la sua comparsa sulla scena del mondo. Tra questi c’è sicuramente l’economista Peter Koenig che, come precedentemente illustrato su questo blog, ha rivelato come i consessi elitari occidentali, World Economic Forum di Davos in testa, abbiano accolto con giubilo la crisi economica post-Covid, intravedendovi l’opportunità di un “Grande Reset” che consentirà una riduzione dei consumi e quindi dell’inquinamento a spese dei redditi della agonizzante classe media di tutto il pianeta, con annesso e ulteriore trasferimento di ricchezza dalla base verso il vertice della piramide sociale mondiale.

Ma un’ulteriore analisi degna di nota è quella di T.P.Willkinson, saggista e analista, tra gli altri, per il Centre for Research on Globalization. Questi ha infatti posto l’accento sul fatto che la pandemia e la prossima necessità di una massiva campagna di vaccinazione globale (e, in tal caso, è superfluo dire chi produrrà i vaccini “abilitati”: le multinazionali del farmaco americane. Basti qui, del resto, menzionare le recenti parole dell’immunologo Pio Conti, vicino ad Anthony Fauci, da 35 anni inamovibile direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases degli Stati Uniti, che ha spiegato come il vaccino risolutivo arriverà dagli USA, oltre ad aggiungere che, per arginare la pressione sui rispettivi sistemi ospedalieri in una fase caratterizzata, oltre che dal Covid, anche dalle patologie stagionali, i Paesi “devono agire subito per aumentare il numero dei vaccini consigliati dall’OMS contro l’influenza e rafforzare i loro sistemi sanitari”), possano fornire, con l’annesso ricorso alla stamperia della FED, un volano all’inondazione dei mercati mondiali di dollari americani. Che, come è noto, sono valuta di riserva globale e il cui possedimento da parte degli Stati, quindi, è fondamentale per l’acquisto di commodities come il petrolio.

PETROLIO, “BIG PHARMA” E VACCINI: QUALE RAPPORTO?

John D.Rockefeller

La scelta di imporre il dollaro come valuta di riserva internazionale risale, di fatto, all’accordo di Bretton Woods del 1944 e la dollarizzazione dell’economia mondiale ha ricevuto un impulso definitivo con la decisione da parte dell’Amministrazione Nixon, nel 1971, di interrompere la convertibilità del dollaro in oro. Tale decisione si accompagnò agli accordi con il principale produttore mondiale di “oro nero”, l’Arabia Saudita e l’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) per cui la preziosa commodity non sarebbe stata venduta se non in dollari americani (situazione che portò alla coniazione, da parte dell’economista Ibrahim Oweiss, del termine “petrodollaro). Inutile dire che la crisi energetica del 1973, provocata dalle misure dell’OPEC in seguito alla guerra dello Yom Kippur, che portò alle stelle il prezzo dei barili, provocò letteralmente un’impennata della domanda di dollari da parte delle economie di tutto il pianeta. Nel tempo, tuttavia, c’è stato chi ha tentato di sfidare il primato della valuta americana: i casi più recenti sono quelli del dittatore iracheno Saddam Hussein, che tentò di commerciare il suo petrolio in euro, e del suo omologo libico Muhammar Gheddafi, entrambi caduti dopo guerre scatenate da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati.

Tuttavia, come ben illustra Wilkinson, non si deve cadere nell’errore di ritenere che il petrolio serva esclusivamente come carburante per la mobilità civile, industriale o militare. “Mentre tutti immaginiamo – spiega infatti l’analista – che il petrolio sia ciò che guida le nostre auto e riscalda le nostre case, in realtà questa è una parte relativamente minore dell’economia petrolifera. A monte il petrolio veramente redditizio fluisce nei prodotti petrolchimici, come plastica, fertilizzanti e (…) prodotti farmaceutici! (…) I prodotti farmaceutici (…) un flusso di prodotti in gran parte petrolchimico o guidato dagli oppiacei sono parte integrante della triade che guida il capitalismo moderno: droghe, petrolio e armi da fuoco. L’industria petrolifera è tenuta saldamente e principalmente da due gruppi dinastici”. Uno di questi è quello dei Rockefeller. Fu infatti il fondatore della Standard Oil, John D. Rockefeller (peraltro tra i principali ispiratori, negli anni immediatamente precedenti al primo conflitto mondiale, di quella FED che stampa i dollari americani), il primo a intuire il potenziale offerto dal travaso di risorse e competenze dall’industria petrolifera a quella dei farmaci. Si noti qui che uno dei più intimi collaboratori del capostipite della dinastia petrolifera americana fu Frederick Taylor Gates nonno dell’attuale e principale finanziatore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Bill Gates, sostenitore delle principali ricerche per il vaccino contro il Coronavirus. 

E proprio l’OMS, secondo Wilkinson, “ha assunto il ruolo svolto dall’OPEC nel 1973. Ha dichiarato una pandemia globale nelle condizioni più spurie con la piena consapevolezza che ciò non solo avrebbe permesso una chiusura dell’economia (…), ma avrebbe creato qualcosa di logico: il pharmadollar(…)”. Vale a dire “una domanda emergente e potenzialmente infinita di prodotti farmaceutici (…) sicuri o non sicuri offrirà ai cartelli farmaceutici occidentali profitti indicibili e illimitati e poiché questi sono tutti paesi che lavorano nei mercati del dollaro e dell’euro, insieme all’OMS saranno garantiti potenzialmente illimitati flussi di profitto“.

Al di là delle valutazioni circa le asserzioni di Wilkinson, è innegabile come una nuova ondata di dollarizzazione dell’economia globale per la corsa ai vaccini e alle cure mediche contro il Coronavirus cadrebbe in un momento provvidenziale, per l’impero americano. Il momento in cui, cioè, il ruolo del dollaro come valuta di riserva mondiale, ruolo che assicura a Washington un’egemonia planetaria, è stato ufficialmente messo sotto attacco dal principale competitor della superpotenza occidentale, la Cina. Un Paese che, lo riporta il Global Times, organo del Partito Comunista Cinese, ritiene con soddisfazione che la de-dollarizzazione stia “procedendo rapidamente”

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