Viaggio ad AlUla in Arabia Saudita
AlUla, il nuovo sito archeologico nel cuore
dell’Arabia Saudita, deserto, rocce, arte,
antiche civiltà in un amalgama irripetibile
In Italia fa davvero molto caldo, figuriamoci in Arabia Saudita. Ma il momento per studiare e pianificare un viaggio ad AlUla per il prossimo inverno è proprio adesso. Ecco perché ve lo proponiamo: perché possiate godervelo al più presto, prima che ci arrivi il turismo di massa.
Di Dora Ravanelli
Giocare con le nuvole, ma sono rocce che scolpiscono volti, animali, figure creati dal vento in milioni di anni. Immaginare acqua (che c’è, ma non si vede), che è sabbia. Vaneggiare sul deserto, ma sono palmeti e coltivazioni verdissime contenute in perfetti cerchi, quasi che Giotto sia passato a profilarli. Pensare al presente dell’Arabia Saudita e squadernare un passato di raffinate civiltà e arte che si perdono nel tempo. Scoprire in anteprima terre riaffiorate dal mare, scalpellate dal vento e dai sussulti violenti dei terremoti. Tutto ciò – e altro – ha un nome: AlUla, sito archeologico, antica Strada dell’Incenso tra Oriente e Occidente, patrimonio Unesco, nell’altopiano a nord-ovest della Penisola Saudita.
Sono 22.561 kmq – una superficie pari alla Toscana – che hanno, come “pavimento”, sabbia dorata; come “edifici” (alti dai 300 ai 700 m), pietra arenaria dalle forme arrotondate (mai un angolo acuto) – candide, dorate, rosa, arancioni, rosse secondo l’angolazione dei raggi solari – , che terminano in pinnacoli, in campanili, in “dolmen”, in forme piatte e lisce come piste d’atterraggio. Sono disposte a valli parallele o intersecate tra loro. A Hegra, 52 ettari di territorio, passeggiando sui “sentieri” sabbiosi (antichi wadi o corsi fluviali) e raggiungibili con fuoristrada, improvvisi, tra le pareti a picco, si aprono facciate finemente lavorate con colonne, capitelli, fregi, simboli eternizzati nella roccia viva. Scolpite pregevolmente, sono, a ora, oltre cento tombe della civiltà nabatea (I° sec. a.C.- I° sec. d. C.). E più sono magnifiche, più appartenevano a famiglie importanti come Jabal Al Banat. Non c’erano differenze tra uomini e donne: tutti avevano i medesimi diritti nei confronti della morte. I corpi? Avvolti in 3 strati di tessuti (lana e lino) che, trattati, ne preservavano a lungo le fattezze. Meno monumentali gli ingressi ai loculi funerari di ceti sociali “normali”. Comunque, una un solenne dispiegamento di umanità e bellezza.
Il territorio di AlUla si può abbracciare visivamente nella sua totale, abbagliante magnificenza, noleggiando un elicottero nei colori, sfacciati ed eleganti insieme, blu e oro ad Ashar o, in un’esperienza unica nella vita, salendo sulla cesta intrecciata in paglia (ma sicurissima), che viene morbidamente sollevata da terra da un pallone colorato e allegro: è una vera mongolfiera come quella – che i lettori meno giovani ricorderanno – su cui l’attore hollywoodiano David Niven si faceva trasportare nel film “Il giro del Mondo in 80 giorni” (1956). Magari vi capita di volare insieme a un maestro di falconeria e al suo falco ammaestrato incappucciato (per non nuocergli agli occhi). Sfilato il copricapo, il falcone si librerà, elegante, attorno alla mongolfiera per tornare sulla mano guantata del suo addestratore. Tra differenti sfumature di oro di sabbia e pietra, ecco palmeti, piccole fattorie e recinti in legno con cammelli di lana bianca e qualche capra col pizzetto.
Luogo insuperabile e di recenti scavi (ancora in corso e che promettono scoperte mirabolanti nei prossimi decenni), il territorio di AlUla prende il nome dal grande centro abitato dal XII sec., oltre 900 case in mattoni di paglia e fango, basse, comunicanti tra loro per mezzo di vicoli con tettoie in cannucciato a creare riparo dal sole (38°- 40°C la temperatura media annuale, ma ventilati e secchi). E’ in recupero con paziente cura filologica da non molto tempo. Dagli anni ’80, invece, è stato edificato un piacevole e vivacissimo quartiere moderno con locali di charme e negozi che propongono manifatture tipiche. Da segnalare, una dimora- ma nella Città Vecchia -, Dar Tantora, a disposizione degli ospiti, un ambiente unico, romantico, articolato in più ambienti, arredato in stile, ideale per calarsi e vivere le atmosfere dell’Arabia Felix. Sul tetto piatto, terrazzato, il ristorante – nuovo – in cui si gustano piatti locali con ingredienti freschissimi a km 0 (ogni tipo di ortaggi, legumi, carni – cammello incluso – , frutta). Non è un miracolo, ma la capacità dell’uomo che ha saputo – nei millenni, perfezionandosi con opere di canalizzazioni e fino ai più attuali mezzi – ottimizzare e sfruttare l’acqua piovana (poca) che le rocce assorbono e raccolgono in conche naturali precipitando, poi, a valle per forza di gravità. Ecco, allora, grandi appezzamenti circolari ben irrigati, dove si può coltivare davvero di tutto.
La tavola saudita è ricca di portate presentate tutte assieme, speziate senza eccessi, in una tavolozza cromatica e di sapori graditi ai palati mediterranei. Da provare ad AlUla, coccolati a cielo aperto su uno dei suoi tetti piatti disposti ad altezze sfalsate, il ristorante Tawlet Fayza, vista palmeto. Ad Harrat – suddivisa in città bassa e alta (fino a 1.200 m di quota) – ci si siede al ristorante dell’Hotel Banyan Tree, vetrate affacciate …sulla crosta della Luna. Piatti anche di tradizione, ambiente soft. A un passo dalle stelle si cena, invece, sulla terrazza di Okto, un ristorenate-“planetario” naturale. Locale di classe e imprevisto, il Maraya collocato all’interno dell’omonimo edificio, che ospita un teatro e una galleria d’arte. Costruito dallo Studio Giò Forma di Millano in pieno deserto, è un rettangolo con le pareti esterne ricoperte di specchi che riflettono luce, paesaggio, persone. Inaspettato. Come la valle Wadi AlFann, destinata ad accogliere ”en plein air” opere di artisti contemporanei di ogni nazionalità. Già presenti circa 15 installazioni collocate in gole, avvallamenti, piccole oasi di verde. Di straordinario effetto, un mosaico di S. A. Clottey in tessere dorate di varie tonalità collocato dalla cima alla base di una parete rocciosa: quando illuminato direttamente dal sole, sembra oro puro colato che sgorga dalla pietra.
Il parco pubblico Daimumah, con caffè-house e ristorante, sorto in 6 mesi come rigoglioso parco-palmeto, giocoso ed educativo (l’itinere della saggezza e della concretezza del Regno Saudita), si snoda lungo “palcoscenici” a tema che illustrano il passato e il presente del Paese.
Non c’è nulla di stonato sul territorio, tutto si amalgama in questa natura di straordinario impatto. Anche le strutture alberghiere. Nella Valle Ashar, Habitas, per esempio (www.ourhabitas.com), un 5 stelle che si stempera con i suoi 97 silenziosi cottage sparsi in una gola tra pareti a picco e sabbia arredati nello stile locale, risponde a questo criterio. Dentro: spazi semplici, luminosi, senza televisione, con materiali naturali che respingono il calore ed ecosostenibili; fuori: divani, pouf e cuscini colorati riparati da una tenda retta da 4 aste conficcate nella sabbia. In perfetto stile “Lawrence d’Arabia”. Il corpo centrale è posto in cima alla gola con ambienti ariosi, spa, fitness, il ristorante gourmet Tama con vista piscina a sfioro e…immensità desertica. Pick-up 24 h su 24 a disposizione degli ospiti. Da qui si parte alla scoperta dell’area archeologica con gli indispensabili fuoristrada.
Luogo deputato, depositario della Storia, oltre a Hegra, è Dadan, un’immensa opera di scavo in fieri, orbite nere nella pietra rosata vigilate da leoni dai profili geometrici e secchi incisi nella roccia a picco. Sono tombe, quelle del sofisticato e colto Regno di Dadan (VI sec. a.C. – I° sec. d.C.) . Sull’ampio sito archeologico, anche perimetri geometrici affioranti dal terreno, a testimonianza di vestigia sacrali della città o di opere pubbliche. Come uno schermo su cui si riflette ciò che è stato, dall’altro lato della strada, ecco un verdissimo palmeto, che sembra suggerire un trait-d’union sempre vivo attraverso i secoli.
Culla di iscrizioni in vari alfabeti e lingue, invece, non molto lontano, è Jabal Ikmah, pareti scoscese “ricamate” con epigrafi risalenti a momenti storici differenti, compresa la civiltà di Lihyan (IV sec. a.C. – I° sec. d.C.), che si sovrappone e mescola, nella sua grandezza, a quella dei nabatei. Curiosa la cima di una roccia che il vento ha scolpito con un volto di gorilla: sembra “King Kong” aggrappato alla punta dell’Empire State Building newyorkese nell’omonimo film. Decifrando gli scritti, si viene a sapere di editti, culti religiosi, perfino fatti personali… Una biblioteca aperta sul passato.
Rocce di forme particolari – di cui sorridere e da ammirare con, come sfondo, pinnacoli e sabbia – sono Elephant Rock, un masso alto 52 m in foggia di elefante, perfetto in ogni particolare, con la proboscide conficcata nel terreno ad abbeverarsi. E, come preludio a una notte indimenticabile, Rainbow Rock, un arcobaleno di colori che, con la complicità del sole, tinteggia quest’arco naturale pietroso. Poi si sale sull’altopiano di Gharameel , che già fa buio, ci si stende su un tappeto e su un cuscino come i nomadi, e lo sguardo si volge all’insù, nella notte profonda che mostra costellazioni e astri. In altissima definizione. Una voce dal vivo racconta e disvela, mescolando scienza astrologica e leggende arabe. Fantasia, cuore, mente, silenzio si fondono. Sotto un manto di stelle. (Info: www. experiencealula.com)