Il cinguettio della vanità secondo Franzen
Oggi siamo finalmente venuti a sapere qual è il male assoluto che può minare le basi della letteratura. Quella con la L maiuscola. Quella, per intenderci, che tentiamo (con la modestia delle nostre capacità) di promuovere in questo blog. Lo scrittore Jonathan Franzen, acclamato a suo tempo da Time come “uno dei più grandi romanzieri americani della sua generazione”, si scaglia contro Amazon, il colosso della vendita di libri online, accusando il suo fondatore, Jeff Bezos di pubblicare solo autori “chiacchieroni, vanitosi e tweeter” ovvero “cinguettanti”. Come a dire che è la vanità di chi frequenta i social network e di chi si autopromuove ad aver infettato, forse irrimediabilmente, la letteratura. Secondo Franzen, Bezos, che ha accumulato una fortuna personale di 20 miliardi di dollari, trasformando Amazon da una semplice libreria online, in un colosso dei media e dell’editoria, non può essere paragonato all’Anticristo, “ma sicuramente assomiglia a uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse”, nel senso che sta distruggendo la cultura letteraria”. “Amazon – scrive Franzen in un articolo pubblicato dall’inserto letterario del Guardian – vuole un mondo in cui i libri siano autopubblicati dagli autori o pubblicati solo dalla stessa Amazon, con lettori dipendenti dalle scelte di Amazon e con autori responsabili della loro stessa promozione”. Nello stesso articolo (quasi un mini saggio), l’autore delle Correzioni e di Libertà (Einaudi) mette le mani avanti di fronte a possibili accuse di luddismo o misoneismo. La sua tesi è che un agente così forte come Amazon rischia di connotare prima e condizionare poi non solo il mercato ma anche il gusto dei lettori e quello degli scrittori stessi. E poi passa a descrivere un’epoca, la nostra, saturata dalle informazioni, resa frenetica dalla tecnologia e con l’impronta già evidente di un’incipiente apocalisse. E come medicina propone Karl Krauss. Lo scrittore austriaco è un’ottima cura omeopatica, visto che la sua satira e la sua pubblicistica avevano il ritmo dei blog di oggi, l’irriverenza di una mente arguta e soprattutto la profondità che latita ormai da parecchio nel mondo intellettuale. Franzen si lamenta che oggi non ci siano personaggi come Krauss e che la superficialità e leggerezza dei protagonisti della scena letteraria sia il frutto più che la causa di un movimento teso a impoverire le capacità culturali dei potenziali lettori. In questo senso Bezos è il bersaglio più facile a cui mirare. Però proprio per questo ci sembra un po’ troppo semplice prendersela con il “modello Amazon”, che tra l’altro contribuisce non poco alla fortuna dello stesso Franzen, dal momento che vende per corrispondenza – e con evidente successo – tutti i libri dello scrittore americano. Perché curarsi della vanità degli altri quando si è, come Franzen, premiato il giusto per un’indubbia capacità letteraria? Già Marc’Aurelio si lamentava ai suoi tempi della vanità altrui e della propria inclinazione a considerarla. “Quanto tempo risparmia chi non sta a guardare quello che dice o fa o pensa il suo vicino”. Ecco. Regaliamo questa massima a Jonathan Franzen e gli indichiamo le Riflessioni dell’imperatore-filosofo come alternativa ancor oggi valida ai pur validissimi aforismi di Krauss (raccolti da Adelphi in Detti e contraddetti). E pensare che lo stesso Franzen nell’articolo cita un aforisma molto noto dell’autore austriaco. Giusto per mostrare al lettore del Guardian l’acume di cui questi era capace. Un aforisma che – a ben guardare – tradisce anche tutto il limite del ragionamento troppo introflesso dello stesso Franzen. “La psicanalisi – scriveva Krauss – è quella malattia della mente per la quale crede di essere la cura”.