L’ansia di Kafka ci rende felici
L’ansia di Kafka rende noi lettori felici. Ecco una massima che suona quasi come un paradosso. Oltretutto sembrerebbe, a un primo approccio, una sentenza molto cinica. Si direbbe che sia sul dolore dello scrittore (Kafka in questo caso diviene una sorta di sineddoche in rappresentanza degli scrittori tutti) che fondiamo la nostra soddisfazione. Lui infatti scrive, scrive, scrive. Spesso mosso da urgenze dolorose; da ansie incompiute, da pensieri luttuosamente profondi. E quel risultato noi lo riconosciamo nelle sembianze di libro. Lo apriamo (il libro) voluttuosamente. E avidamente lo leggiamo. E spesso (ma non sempre, va precisato) ne godiamo copiosamente la scrittura (letteraria, ca va sans dire). Quindi il risultato finale è che la sua infelicità di scrittore rende noi felici. Ed è questa la conclusione che ricavo dal blog di Andrea Pomella. Questo giovane scrittore romano (ha all’attivo alcuni romanzi, il più quotato dei quali si intitola La misura del danno, ed è stato pubblicato l’anno scorso da Fernandel) ha scritto un articolo dal titolo Il motivo per cui uno scrittore sarà sempre un lettore infelice. Quindi non parla della gioia che provano i lettori comuni, bensì di tutte le preoccupazioni, ansie e frustrazioni che fanno sì che la lettura dei romanzi degli altri sia sempre un calvario per gli scrittori. http://andreapomella.com/2014/06/11/il-motivo-per-cui-uno-scrittore-sara-sempre-un-lettore-infelice/ Ci sarebbe da citarlo copiosamente ma ovviamente in questa sede mi limito a offrire il link del pezzo. Mi permetto qui di riportare solo un passaggio. “La lettura di un libro – spiega Pomella – è per uno scrittore il terreno per una contesa letteraria, il campo vagheggiato di una lotta feroce che si ingaggia con l’altro scrittore, l’antagonista assente”. Ed è una cosa che mutatis mutandis capita a un cineasta quando va al cinema o a un artista quando entra in una galleria. L’aver proposto il link di questo articolo serve a noi umili e semplici lettori (che mai scriveremo un romanzo) per realizzare quanto sia fortunata la nostra posizione.
Il lettore, però, deve essere consapevole del privilegio di cui gode. E non deve buttarsi giù sciroppandosi fino all’ultima pagina libri indigesti solo per solidarietà con il sofferente autore. Deve sentirsi libero di godere appieno proprio della sua libertà. Ed è un grande scrittore – in questo caso – a darci la sua benedizione. Daniel Pennac in Storia di un corpo (Feltrinelli) offre addirittura una sorta di decalogo. La prima norma parla addirittura del diritto di non leggere, cui seguono il diritto di saltare pagine e quello di non finire il libro. Tra i punti qualificanti anche quello importantissimo che riguarda il diritto al bovarismo. Con buona pace di Gustave Flaubert, Pennac afferma perentoriamente: “E’ questo, a grandi linee, il bovarismo, la soddisfazione immediata ed esclusiva delle nostre sensazioni: l’immaginazione che si dilata, i nervi che vibrano, il cuore che si accende, l’adrenalina che sprizza, l’identificazione che diventa totale e il cervello che prende (momentaneamente) le lucciole del quotidiano per le lanterne dell’universo romanzesco… E’ il nostro primo stato di lettori”.
Sulla pagina già scritta da altri, insomma, noi (lettori felici) sospendiamo la nostra incredulità, così come abbandoniamo logica e realismo ogni volta che assistiamo a un’opera lirica, a uno spettacolo teatrale o che ammiriamo un film al cinema. Questo procedimento è istintivo fino a un certo punto. Ci dobbiamo mettere del nostro. E soprattutto dobbiamo far vincere la nostra istintiva pigrizia. Ed è, paradosso dei paradossi, proprio la nostra indolenza a salvare noi e a riscattare la via crucis attraverso la quale è passato lo scrittore. E non pensiate che gli scrittori umoristici o i più raffinati gestori dell’ironia abbiano sofferto di meno. Il monopolio del dolore non è di Kafka, appunto. Il primo esempio che mi balza davanti agli occhi è la vita di Charles Dickens. Ma sono tanti i nomi che compongono questo particolare Pantheon dove rifulgono i ritratti di quei maestri della penna che hanno sublimato il loro dolore per la nostra felicità. A voi lettori riconoscerli e completare la lunga (immagino molto lunga) galleria di auctores. Tenendo sempre a portata di mano il decalogo di Pennac in modo che nulla, proprio nulla, turbi la nostra felicità.