Sessismo in libreria (e dal gelataio)
Ho aspettato un po’ di tempo per scrivere questo post. Diciamo quattro settimane circa da quando ho sentito l’impulso di mettere nero su bianco idee, fatti e annotazioni. Un tempo necessario per capire se la mia reazione del momento fosse equilibrata o fortemente condizionata dalle polemiche che una banalissima presa di posizione di un libraio ha suscitato nel mondo della carta stampata, dei social network e dei libri. A quasi un mese di distanza mi sono accorto che nulla è cambiato: anche io sono pronto a ripetere quello che il malcapitato disse il 15 dicembre scorso. Anch’io come lui preferisco leggere libri di uomini. Ovviamente non per ragioni ideologiche né tanto meno di genere. Semplicemente perché li sento più affini (gli scrittori) alla mia sensibilità.
Ma andiamo con ordine. Nell’edizione bolognese di Repubblica è apparsa, il 15 dicembre scorso, un’intervista al direttore della libreria Feltrinelli di piazza Ravegnana. Dopo aver chiesto all’intervistato i dieci libri che hanno segnato la sua vita, la giornalista incalza il povero Marco Bonassi con la richiesta di una spiegazione. Perché nella lista non compaiono nomi di donne? Tanti al posto del direttore della Feltrinelli avrebbero potuto correre ai ripari con furbizia e astuzia, sfruttando al meglio tutto il repertorio della political correctness. Lui no. “Lo confesso, non ne leggo molte – risponde – E non volevo barare, né fare il politicamente corretto”. Apriti cielo! Considerazioni che hanno scatenato ira e indignazione da parte di femministe, associazioni di consumatori, scrittori e scrittrici. Alcune in verità più illuminate e meno impulsive hanno anche ammesso di aver desiderato, spesso, di firmarsi con nomi maschili. Insomma il dibattito è fiorito. Abbondante. Proprio sotto Natale, periodo privilegiato per l’acquisto di libri da offrire come strenne.
Nel coro di critiche ovviamente svettava la difesa del datore di lavoro di Bonassi. Interpellato dai giornalisti Carlo Feltrinelli ha difeso il direttore della libreria bolognese marcando i suoi meriti professionali e culturali. Ha sempre consigliato con imparzialità, intelligenza, passione e professionalità i nostri clienti, ha spiegato Feltrinelli. In effetti nell’intervista si parla esclusivamente di lui come di lettore. Quindi in gioco c’erano solo i suoi gusti.
Insomma sarebbe come se un gelataio non potesse rispondere alla semplice domanda: quali gusti preferisci? Visto che vende venti o trenta tipi differenti di gelato non può scegliere, sarebbe discriminante per quelli esclusi dalle sue preferenze. E se proprio deve, può farlo a patto di bilanciare con saggezza gusti di creme e sapori di frutta.
Non scherziamo! Il libraio ha fatto benissimo a dire quello che pensa semplicemente perché gli è stato chiesto quali libri ha amato di più. Io avrei fatto lo stesso. Ed è vero, tra l’altro, che in proporzione leggo meno titoli di donne che di uomini. Ironia vuole, però, che proprio in quei giorni stessi leggendo un’autrice. Natalia Ginzburg. Il suo “Lessico famigliare” non solo è un romanzo autobiografico, non solo racconta in modo avvincente i semplici fatti domestici, nella cornice fosca e lugubre degli anni Trenta e Quaranta, ma lo fa con un’eleganza stilistica che gli autori di oggi se la sognano (uomini o donne non importa). La sua lingua letteraria poi diventa lessico, lessico privato. E quella lingua famigliare, dove il mondo si rinnova di suoni e significati affatto originali, si qualifica soprattutto come mondo privato, fatto di affetti, complicità e amore. Poco da fare. Basta una parola: capolavoro. Libro che tra l’altro le valse il Premio Strega nel 1963. L’edizione che ho sottomano è quella dei Meridiani Mondadori, con prefazione di Cesare Garboli. Leggendo la nota all’edizione dei suoi testi, dove la Ginzburg racconta il suo modo di scrivere e dove spiega la sua formazione, mi sono imbattuto – a pagina 1121 – in questo passaggio: “Avevo un sacro terrore di essere attaccaticcia e sentimentale, avvertendo in me con forza un’inclinazione al sentimentalismo, difetto che mi sembra odioso perché femminile e io desideravo scrivere come un uomo”. Quando si dice: il tempismo è tutto!