Più simbolico e inquietante del monolite di  2001, Odissea nello spazio, la grande, gigantesca duna Amargosa da sola vale un posto importante nella letteratura contemporanea e – in genere – nel nostro immaginario post-moderno. E’ una massa sabbiosa vasta quasi come la California. La sua altezza supera in alcuni punti anche le vette delle Montagne Rocciose. Un mostruoso gigante nato per abitare i peggiori incubi di chi già vive l’ansia dei mutamenti climatici. L’ha creata una giovane scrittrice, Claire Vaye Watkins, che di zone desertiche se ne intende, visto che è cresciuta sul limite (abitabile) della Death Valley. Questa duna è la principale protagonista del suo primo romanzo uscito ora anche da noi grazie a Neri Pozza con il titolo Deserto americano (pp. 334, 18 euro, traduzione di Massimo Ortelio). La Watkins ci fa precipitare in un futuro non poi così lontano, dove una devastante siccità ha messo in ginocchio non solo l’economia e la società californiana ma persino l’intramontabile  (finora) mito dell’Ovest. Insomma, in Deserto americano la California è ormai un’arida landa desertica assediata appunto dalla sabbia bianca e accecante dell’Amargosa. Ed è in questo contesto che due disperati (una ex fotomodella e un ex marine) cercano di sopravvivere. Luz e Ray si sono accampati in quello che un tempo era il buen retiro di una viziata ed eccentrica attrice, fuggita all’Est come la gran parte dei californiani (ovvero tutti quelli che se lo potevano permettere). Il loro non è solo un sodalizio amoroso, ma un vero gioco di squadra per la sopravvivenza, con lui intento a procacciarsi acqua e benzina e lei sempre a cacciare topi e scorpioni dalla villa della diva hollywoodiana. I due avrebbero probabilmente tergiversato a lungo (forse fatalmente a lungo) senza rispettare gli ordini di evacuazione della Guardia Nazionale se non fosse che sulla loro strada si sono imbattuti in una bimba di due anni, malnutrita e lamentosa, che proprio non ne vuole sapere di tornare in mezzo al gruppo di violenti sbandati da cui proviene, trovando le lunghe e lisce gambe di Luz ben più invitanti.

La Watkins ci regala quindi una storia di frontiera che è anche un storia di un viaggio (lasciamo al lettore di scoprire se di salvazione o perdizione). Una storia toccante e visionaria che non può non far venire in mente La strada di Corman Mc Carthy. Il futuro, in entrambi questi romanzi, è un incubo insostenibile. Questa sorta di “sacra famiglia” rivisitata prova ad attraversare l’isolamento provocato dalla duna, cerca insomma di uscire dal deserto ma sulla sua strada incontra soltanto morte e disperazione e soprattutto la follia di piccole comunità di isolati che si perdono dietro improbabili teorie salvifiche pur di dare un senso al nulla che li assedia. Il bene e il male ridisegnano i propri confini laddove la duna non smette mai di muoversi e di modificare il suo profilo. Per la giovane scrittrice californiana è stato scomodato il genio di Faulkner (oltre allo scontato accostamento al già citato McCarthy). Di certo i personaggi della comunità di indiavolati pseudo-hippy dove i due trovano temporaneo rifugio offre un variegato spettro della più varia umanità chiamata alla difficile prova di riformulare principi e priorità vista il mutato contesto ambientale.

Se l’espediente narrativo è ottimo per analizzare in profondità questa casistica umana, tutt’altro che scontato è il risultato finale. Non si contano, infatti, i tentativi proposti nel corso degli ultimi decenni di storie e personaggi costretti a fare i conti con i mutamenti climatici in cerca di una disperata via di fuga. Da questo indistinto gruppo è emerso finora soltanto il già menzionato capolavoro di McCarthy. Ora è arrivata la  Watkins. Che si è dimostrata capace di superare i pregiudizi di chi – come il sottoscritto – pensava impossibile un nuovo libro dopo La strada. E invece prevedo che deell’Amargosa ci ricorderemo ancora in futuro. E rimarrà un incubo costante nel sonno di tanti e tanti lettori. Per i quali, ovviamente, già vale come monito uno dei passi più toccanti del romanzo di Mc Carthy, quando il protagonista avverte il figlio, con lui in fuga verso un luogo meno ospitale del New England postatomico: “Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice, vorrà dire che ti sei arreso”.

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