Oscar Wilde, e il ritratto “vittoriano”
Sono tanti i motivi di vanto per Oscar Wilde. Qui mi preme sottolineare che è stato tra i pochi scrittori della sua epoca a dare forma, voce e anima a un mito moderno. Un mito intramontabile che ancora oggi si incontra nei nostri sogni, nelle nostre paure, nell’orizzonte di attesa (per dirla con i teorici della letteratura) della nostra civiltà. Il mito è quello ovviamente dell’eterna giovinezza cui il signor Dorian Gray ha prestato il nome e un bellissimo aspetto. La storia di questo romanzo è conosciuta da tutti. Anche da chi non l’ha letto. Ed è per questo che può essere ascritto nel novero dei miti moderni. Difficile pensare che la nostra epoca accetti ancora i patti faustiani col diavolo, come sottoscrive Dorian Gray appunto per rimanere bello e giovane. Simili patti non sono più possibili, temo, perché la nostra società ha perso il senso della misura, il senso del dovere e soprattutto una rigida morale da superare per compiacere il demonio. I valori sono frantumati e si va avanti senza tabù e inibizioni. Tanto è vero che anche l’auctoritas degli anziani sui giovani ha perso di smalto. In un simile contesto Dorian non si rivolgerebbe più all’estro pittorico di un Basil Hallward per farsi immortalare o al lucido sarcasmo di lord Hanry Wotton per farsi educare. Il primo lo sostituirebbe semplicemente con i selfie e con lunghe sedute dal chirurgo estetico (e, se ha anche un po’ di tempra, con monotone e tediose giornate in palestra). Il secondo semplicemente con i social network. E forse proprio perché la storia qui raccontata oggi non sarebbe immaginabile, la lettura di questo romanzo oggi si raccomanda più che mai. Serve per curare la fragilità del nostro senso estetico, per rafforzare i nostri vaghi afflati morali. Può anche essere utile impratichirsi con le pillole di sarcasmo e di edonismo rappresentate dai tanti aforismi che lord Hanry Watton sparge lungo tutto il racconto. La complessità dei punti di vista di questo personaggio (per il resto tratteggiato molto superficialmente dall’autore, segno che in Watton c’era molta poca fantasia e tanta autobiografia) sono davvero la medicina omeopatica per l’ingenuità dei ragionamenti di oggi. Spiace che oggi non ci siano salotti dove imbattersi in un simile conversatore squisito e paradossale, cinico per posa e corrosivo per partito preso. Per il quale certo vale uno dei suoi più celebrati aforismi: “Ogni ritratto dipinto con passione è il ritratto dell’artista, non del modello. Il modello non è che il pretesto”. Il modello che serve a rappresentare le nostre debolezze sarà pure Dorian (che infatti si metterà in posa per un quadro che assumerà su di sé tutto il peso della sua nequizia e delle offese del tempo). Il modello di Wilde, però, è lord Wotton. Quasi nulla sappiamo del suo aspetto fisico. Il “dipinto” che Wilde ci offre dell’arguto inventore di aforismi sembra senza volto. Di lui ci resta una voce brillante e una mente che più acuta non si può. Insomma un ritratto “vittoriano” come lo sognavano i vittoriani. Basso profilo e molta sostanza. Con buona pace di chi, ancor oggi, vede ne Il ritratto di Dorian Gray un manifesto della letteratura decadente.