È una delle domande che sento più spesso quando si parla di romanzi e di letteratura: “Mi consigli un bel libro?” Domanda diretta e purtuttavia alquanto vaga. Capace soltanto di disorientare l’interlocutore. Magari il destinatario del consiglio offre qualche elemento in più (un giallo, una storia d’amore, un romanzo storico). Fino al momento della fatidica aggiunta: “un libro che mi aiuti” (si presume a superare un momento di crisi o semplicemente a passare nel miglior modo possibile il tempo).

Il consiglio, quindi, dovrebbe essere una sorta di ricetta medica (dieci pagine della Austen dopo i pasti aiutano la digestione; Dostoevskj mai di sera perché stimola la riflessione, meglio Trollope o Henry James).

L’altro giorno mi è stata rivolta proprio questa domanda: mi si chiedeva un libro che aiutasse a superare un momento di crisi. Sconcertato non ho saputo rispondere. Almeno non subito. Sono in grado, però, di farlo adesso che ho terminato la lettura di Al faro  di Virginia Woolf nella splendida traduzione di Nadia Fusini (Mondadori).

Dovrei quindi alzare il telefono e chiamare la persona che mi ha posto la domanda. E dirle: “potresti leggere Virginia Woolf”. La grandezza della scrittrice britannica risiede essenzialmente in una cifra stilistica che è anche l’obiettivo stesso della sua ricerca. L’autrice non si pone mai sopra i suoi personaggi. Vuole avere con loro un rapporto di empatia praticamente assoluta. Ecco perché ne escono fuori racconti e romanzi che sono a modo loro polifonici. La stessa realtà, la stessa immagine, quasi lo stesso frammento microscopico di vita è osservato da numerosi punti di vista. Fatto questo che ci aiuta a placare le nostre ansie (spesso frutto di un mal gestito egocentrismo) e che ci dispone ad ascoltare gli altri e a vedere in loro lo specchio di un immenso universo interiore.

La storia è conosciuta ma val la pena tratteggiarla in forma elementare. La famiglia Ramsay usa passare le vacanze estive in una località di mare, non lontano da un’isola con un celebre faro. La famiglia è ovviamente numerosa, borghese e tiranneggiata dal capofamiglia, un accademico molto conosciuto. Nei tratti della madre si intravedono quelli della mamma di Virginia, morta quando l’autrice aveva soltanto 13 anni. Tra gli ospiti della casa, oltre ad aspiranti filosofi e poeti, anche una pittrice dilettante Lily Briscoe. Il romanzo si articola in tre momenti temporali ben precisi: il momento della massima felicità di una famiglia ricca di bambini eccitati e vivaci, dove le speranze degli adulti non sono state ancora frustrate dal tempo, un secondo momento che coincide con l’abbandono della casa, che vive soltanto grazie ai suoi oggetti e alla cura delle donne di servizio e che fatica a resistere alla decadenza, e un terzo tempo: quello del ritorno. Quando i sopravvissuti riusciranno ad arrivare finalmente al faro.

La Woolf riesce a trovare l’essenza delle cose, il senso del tempo che scorre nei dettagli. Analizzati non dal narratore onnisciente bensì dai personaggi stessi nei loro monologhi interiori che si alternano praticamente senza soluzione di continuità con una perizia senza pari.

Il senso delle cose, i rapporti familiari, le aspirazioni personali, il declino, la decadenza e il trascorrere del tempo sono temi universali che qui emergono sotto forma di pure impressioni. Gran parte della critica vede nella signora Ramsay la protagonista del testo. A lei sembra dedicare ogni sforzo di memoria e di autoanalisi la Woolf. Non escludo, però, che personaggio strategico sia proprio la pittrice dilettante. Le sue riflessioni, il suo sforzarsi di riprodurre sulla tela il paesaggio della casa dei Ramsay così come lo vede il suo occhio interiore, i suoi dubbi, la sua verginità (è segretamente innamorata proprio della padrona di casa) ne fanno un perfetto alter ego proprio della Woolf. Che resta ancora stupefatta dal miracolo di una realtà inafferrabile. Eppure, così presente dentro e intorno a ognuno di noi tanto da esclamare: “Possibile che anche per le persone avanti negli anni così fosse la vita? Allarmante, inaspettata, sconosciuta?”

Disporci all’ascolto, disporci a un’osservazione delle cose, anche le più minute, e aprirsi all’inaspettato e allo sconosciuto è senza dubbio un modo per vincere paure e ansie. La terapia Woolf almeno con me ha funzionato.

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