Le parole “notturne” che illuminano la nostra libertà
“Le parole furono notte nella notte e noi fummo ombre”. Siamo a pagina 186 di Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini (edizione Einaudi). Parole che mi riconciliano con il libro che ho appena terminato di leggere. Una scelta casuale la mia (pescando a caso tra i classici del Novecento) che, all’inizio, dopo le prime pagine, mi aveva fatto pensare a una pesca sfortunata. Con gli occhi di un lettore di oggi, magari distratto da mille cose e dalla velocità dei tempi di giudizio, stavo già per bocciare il giovane Vittorini (il libro lo ha scritto alla fine degli anni Trenta ed è uscito nel 1941). Quell’incipit presuntuoso e ingenuo (“Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi sono messo a raccontare”), il modo in cui il protagonista/narratore descrive la madre quando la rivede dopo tanti anni (“La signora apparve, alta, con i capelli chiari, e io riconobbi perfettamente mia madre, una donna alta coi capelli quasi biondi, e il mento duro, il naso duro, gli occhi neri”) mi avevano fatto pensare che oggi un libro del genere non avrebbe superato la prima scrematura anche dell’editore più generoso e aperto.
Eppure bisogna non soltanto sospendere il giudizio e arrivare all’ultima pagina. Bisogna anche inquadrare il testo nell’epoca in cui è stato scritto. Con indulgenza, pazienza e con il giusto approfondimento del contesto, Conversazione in Sicilia non soltanto è ancora leggibile ma mantiene intatto il suo messaggio.
Silvestro, questo il nome che Vittorini dà al protagonista, attraversa tutta l’Italia in treno per rivedere la madre. Da anni si è fatto una famiglia sua al Nord ma sente potente il richiamo della terra e di quella madre lontana, orfana dei figli partiti per il mondo. Un viaggio a ritroso, quindi un viaggio nel ricordo e nell’infanzia. Con Pavese, Vittorini è tra i campioni nostrani di quel realismo mitico che negli anni Trenta cerca, nonostante le rigide maglie della censura, di replicare la forte ed evocativa voce della narrativa americana. E Conversazione in Sicilia, con tutti i suoi limiti, centra l’obiettivo. La Sicilia degli umiliati e offesi, diventa una terra magica dove il tempo perde le sue coordinate e dove miti ancestrali e ingiustizia sociale conquistano la stessa ribalta, si intrecciano e si confondono. Certo ci sono ingenuità e la lingua (con il suo ermetismo strisciante) è fortemente aspra, però è il prodotto di chi cerca comunque di fare letteratura nonostante la censura di regime. Forse la libertà che oggi abbiamo nel leggere, scrivere e farci inondare dalle informazioni sui nuovi media non ci fa apprezzare nel giusto modo quel mondo fiero e coraggioso, che scommetteva sul potere salvifico della parola, pur correndo il rischio di finire dietro le sbarre. “Le parole furono notte nella notte e noi fummo ombre”, dice lo stesso Silvestro/Vittorini. Parole ermetiche e oscure per far passare il messaggio che alla luce del sole non si poteva veicolare. Anche se era il sole caldo e avvolgente della Sicilia.