Faulkner ci salverà dai lettori pigri
Nel suo ultimo memoir (La storia da dentro, uscito per Einaudi pochi mesi prima della sua morte) Martin Amis si sfoga contro i lettori di oggi. E’ colpa loro, dice, se gli scrittori non osano. Il pubblico è diventato pigro e non accetta che romanzi di facile consumo. Questo sfogo mi è tornato in mente poche settimane dopo mentre ero intento a leggere il penultimo lavoro di Cormac McCarthy (Il passeggero, anche questo uscito per Einaudi e anche questo a pochi mesi dalla morte dell’autore). Un libro che, ho pensato, sarebbe piaciuto ad Amis. Un libro che è una sfida aperta al lettore. Difficile, impervio ma profondo. Quando un amico mi ha chiesto un giudizio e un consiglio sul libro, però, ho tentennato. Non ho potuto spingerlo verso la lettura del Passeggero dal momento che il mio amico divora sì libri ma nella versione audio. Quindi mi sono bloccato a pensare se è possibile ridurre il romanzo (affatto sperimentale) di McCarthy a una lettura a voce alta.
La mia risposta negativa mi ha ricondotto con la memoria a un altro capolavoro di quella letteratura chiamata sbrigativamente “modernista”, varata da James Joyce e portata avanti nel corso di questi ultimi cento anni da uno sparuto ma combattivo manipolo di scrittori in tutto il mondo. Quel manipolo che Amis lamentava essersi ridotto al lumicino. Il capolavoro in questione è L’urlo e il furore di William Faulkner (letto nell’edizione Einaudi con la traduzione di Vincenzo Mantovani). Uscito nel 1929, il romanzo ebbe una sorta di seconda edizione nel 1946 alla quale l’autore aggiunse un’appendice. Questa aggiunta, nelle intenzioni dell’autore, doveva essere un prologo. In realtà critici e studiosi – e soprattutto i suoi editori – l’hanno letta più come un’appendice esplicativa del quadro narrativo nel quale si inserisce la storia della famiglia Compson e della sua “caduta” dai fasti della fine del XIX secolo fino alla decadenza degli anni Venti, in coincidenza con la crisi della grande depressione.
Parlando di audiolibri mi è venuto in mente Faulkner perché per questo romanzo (diviso in quattro capitoli affidati a quattro differenti narratori, con salti temporali, monologhi e flussi di coscienza) è difficilmente riproducibile in un audiolibro. Lo stesso Faulkner aveva messo in corsivo le singole frasi che, all’interno di serrati dialoghi, rappresentavano uno slittamento temporale rispetto a quanto veniva in quel momento rappresentato. Inoltre, l’autore nell’edizione del 1946 sperava di inserire una riforma grafica che permettesse di assegnare un colore tipografico a ogni cambiamento temporale. Sogno che non ha potuto vedere trasformato in realtà, visto che la prima e unica edizione a rispettare la sua volontà arriva soltanto nel 2012 in un’edizione di lusso a tiratura limitata per i tipi della Folio Society (e che oggi nel mercato dei bibliofili viene venduta a qualche migliaio di euro).
Il romanzo, dicevamo, racconta la caduta di una facoltosa famiglia del Sud: i Compson. Il primo capitolo viene affidato alla voce di Benjamin, il figlio ritardato di 33 anni. E’ l’affresco di una giornata: il 7 aprile del 1928. Si entra subito nel pieno della storia attraverso una descrizione viziata dall’handicap mentale del narratore ma ricca di suggestione. Il secondo capitolo fa un salto indietro al 2 giugno del 1910 e ci porta alla dolorosa presa di coscienza di Quentin, fratello maggiore di Benjamin, destinato ad Harvad ma approdato al triste epilogo del suicidio. La terza parte ritorna alla vigilia del 7 aprile 1928 e in questo caso il racconto è affidato al terzo fratello Jason. Su di lui il peso di un’intera famiglia, un peso aggravato dai rancori e dai rimpianti, che rende il racconto cinico e spietato. Poi l’8 aprile del 1929, ultima parte, è riprodotta con lo sguardo di Dilsey la cuoca di colore di casa Compson. Tutte le parti riproducono parti di un mosaico che restituisce il senso profondo di una crisi morale ed esistenziale. Un meccanismo che entra nel cuore della crisi dell’uomo moderno e che valse allo stesso Faulkner il premio Nobel per la letteratura (1949).
Quell’epilogo (pubblicato nel ’46), svela i meccanismi più segreti delle relazioni familiari e ricorda a brevi ma sapidi tratti la lunga e ultracentenaria storia di questa famiglia, resa ricca da un bizzarro baratto col capo di una tribù indiana. Pensando al lettore di oggi (quello immaginato e sbeffeggiato da Martin Amis) questo epilogo è un modo per renderlo partecipe e per premiarlo a fine lettura. Di certo, però, non salva questo capolavoro dall’elenco dei libri che – a mio avviso, ma magari verrò smentito – non possono entrare nei cataloghi degli audiolibri.