“Preferirei di no”.  Ci sono frasi diventate proverbiali ed emblematiche. Il tormentone che caratterizza lo strano impiegato di nome Bartleby nella Wall Street di fine Ottocento è proverbiale ed emblematica ma – a un tempo – è anche una delle più oscure frasi che la letteratura abbia partorito. Il racconto di Melville lo conosciamo tutti. Se ne parlo qui ora è perché ho appena sfruttato questo “classico” per sperimentare la fruizione degli audiolibri.  Cosa questa di cui parlo in chiusura. Torniamo per il momento al nostro “scrivano”. La sua avventura la si conosce tutti (almeno a grandi linee). È la parabola discendente (e triste) di un copista che non vuole più chiedere nulla alla vita e che accetta il suo lavoro e il suo destino in maniera totalmente passiva. Una passività che chi gli sta vicino prima guarda con simpatia ma che a poco a poco si fa sempre più incomprensibile fino al punto di stridere così tanto con il modo di vivere e di sentire comune da portarlo in carcere anche senza aver commesso alcun reato. “Preferirei di no” è la risposta che Bartleby offre a ogni cambiamento dalla norma. Non vuole uscire dal suo binario. Lui “copia” e basta. Non fa altro: non parla con gli altri colleghi dello studio legale nel quale è stato assunto per copiare i documenti legali (all’epoca ovviamente non si potevano fare le fotocopie), non sembra avere interessi o necessità, e soprattutto non aiuta nessuno nel caso ci siano dei compiti extra o improvvise necessità. Egoismo? Stoicismo? Oggi forse penseremmo più probabilmente al menefreghismo. E invece è qualcosa di diverso. Qualcosa di ben più profondo.

Questo racconto di Melville è stato pubblicato nel 1853. E fin dall’inizio del Novecento è diventato un rovello per critici e studiosi. Alcuni hanno visto nell’umile Bartleby un personaggio messianico, altri il primo prototipo di quella letteratura dell’assurdo che troverà nel teatro di Beckett la sua più completa realizzazione. Altri ancora hanno visto in lui un personaggio kafkiano al contrario, ovvero un personaggio che non subisce l’assurdo della realtà ma lo crea. Molti poi hanno spostato l’attenzione sul narratore. Ed è appunto a lui che penso nel cercare, anche io nel mio piccolo, un significato. La voce narrante è a suo modo quella del protagonista di questa storia. C’è prima ancora che compaia Bartleby e c’è ancora quando il copista ormai non c’è più. È il titolare dello studio legale. E, a suo modo, anche lui modifica progressivamente non solo il suo modo di vedere le cose ma anche il suo agire.  Si trova spiazzato all’inizio dall’immobilità di Bartleby, soprattutto perché rallenta fortemente il fluire naturale delle cose, di cui noi siamo soltanto dei modesti ingranaggi. Poi, complice la sua natura evangelica, diventa incline alla compassione e alla carità.

Secondo me, oggi, il personaggio da studiare non è Bartleby ma il suo datore di lavoro. Colui che è disposto persino a traslocare l’ufficio piuttosto che affrontare di petto l’enigma esistenziale del “preferirei di no”. Lui è il moderno borghese. Colui che segue le regole del mondo per migliorare sé stesso e la sua condizione materiale. Lui che si fa ingranaggio inconsapevolmente, perché convinto di essere tra coloro che gli ingranaggi, invece, li governano. E proprio per questo Bartleby diventa un modernissimo grimaldello “anti-sistema”. Chissà se nella San Francisco sessantottina di “fragole e sangue” Bartleby spopolasse. Chissà se questa maschera enigmatica abbia scaldato gli animi dei contestatori degli anni Settanta.

Oggi la sua figura somiglia in modo inquietante a quella dei giovani che popolano l’enorme legione di neet (acronimo inglese che indica chi non studia, non lavora e soprattutto non cerca un’occupazione). Quell’indolenza che a tratti sfiora l’abulia sembra avere la stessa origine: il non voler sentirsi meccanismo di questa corsa frenetica che è diventata oggi la vita nell’era dei consumi. In punta di piedi propongo questa lettura: vedere nella voce del narratore lo specchio della nostra incredulità nei confronti di questi ragazzi. Senza nulla togliere ovviamente alle letture fin qui proposte da generazioni e generazioni di critici. Come ogni classico che si rispetti, il racconto di Melville offre un’infinità di suggestioni. Complice soprattutto l’enigma che caratterizza uno dei personaggi più popolari della storia della letteratura.

Ps

La postilla è dedicata al format con cui ho goduto questa nuova “lettura”. Per la prima volta ho fruito di un “audiolibro”. In questo caso l’edizione di Bartleby, lo scrivano era caratterizzata dalla voce di Elia Schilton. Grande attore e grande voce. Ottima lettura, la sua. Davvero coinvolgente. L’audiolibro è coinvolgente. Non lo posso negare. E nel caso specifico mi ha permesso di godere ancora una volta della memorabile lingua di Melville (nella preziosa traduzione di Flavio Santi). Le parole brillavano nella mia mente come imponenti luci al neon e restituivano al pensiero un ritmo pacato e profondo. Peccato non avere avuto a disposizione carta e penna per “fermare” alcune perle. Devo a questo punto riprendere in mano – appena sarà possibile – la mia copia cartacea per vedere se alcune di quelle mirabili espressioni le abbia già sottolineate ed evidenziate. Insomma, l’audiolibro è un ottimo sostituto (già vedo bene un suo utilizzo nel mio prossimo viaggio in treno) alla lettura tradizionale. Non bisogna, però, dimenticarsi di tenere sotto mano carta e penna.

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