Foto di Andrew West da Pixabay

La guerra “dei 12 giorni” tra Israele e Iran, dopo la grande paura, sembra aver raggiunto un fragile punto di equilibrio con la tregua annunciata, per primo, dal presidente americano Donald Trump. Eppure, come è emerso anche dal vertice NATO in Olanda, il mondo procede a passo spedito verso una nuova corsa agli armamenti. Accade per vari motivi ma, forse, uno dei principali è che il globo è definitivamente entrato in una fase di  “keynesismo militare”. Che cosa significa? Procediamo con ordine. Se il noto concetto di “economia keynesiana”, spesso contrapposto alle dottrine basate sull’austerità virtuosa, si rifà alle teorie del britannico John Maynard Keynes sull’influenza che la leva della spesa pubblica può avere nello spingere la domanda aggregata, con questa, forse meno nota, definizione si fa invece riferimento a un modello nel quale, in un dato Paese, tale leva è alimentata prevalentemente dal settore degli armamenti e della difesa, che diviene il principale motore dell’occupazione e della crescita dei consumi. L’esempio storicamente più noto di keynesismo militare è forse quello della Germania nazionalsocialista, che riuscì ad assorbire l’immensa disoccupazione e la crisi ereditate dalla Repubblica di Weimar anche grazie a un poderoso piano di riarmo. Le conseguenze di tale scelta, purtroppo, sono tragicamente riportate dai libri di storia.

Ma il keynesismo militare è, evidentemente, anche il modello adottato attualmente dall’Occidente collettivo e, di riflesso, dai suoi competitor, Repubblica Popolare Cinese in testa. Una via percorsa soprattutto a partire dalla fine della pandemia Covid-19, tranne per gli Stati Uniti d’America, che a tale modello si erano conformati già con la Seconda guerra mondiale e con la Guerra fredda e che hanno sempre guidato la classifica globale delle spese per armamenti e lo hanno poi fatto con ampissimo margine a partire dal crollo dell’Unione Sovietica. Le discussioni sul riarmo europeo, sull’incremento della spesa militare per i Paesi NATO, la retorica aggressiva e allarmistica sulla minaccia russa, iraniana o cinese in ambito atlantico, ormai diffusa quasi a reti unificate, 24 ore al giorno, dai media occidentali sono, da questo punto di vista, perfettamente strumentali a sostenere questo modello, proprio come un’efficace campagna di marketing potrebbe sostenere il lancio di un nuovo profumo.

Perché l’esistenza di uno spaventoso nemico è conditio sine qua non per convincere le popolazioni, soprattutto quelle dell’Europa comunitaria, della necessità di un surplus di spesa pubblica che, fino a pochi anni fa, era invece e con la medesima intensità narrato come il male assoluto, un male che avrebbe potuto trascinare nel baratro interi continenti e mettere addirittura a repentaglio il pagamento di pensioni e salari. Una narrazione già superata, forzatamente, con la pandemia e il famoso Recovery plan europeo seguito ai lockdown imposti dai governi, insieme a monumentali campagne vaccinali. Ecco che, allora, concluso il virus e conclusa anche (e in malo modo) la “global war on terror” proclamata da Washington all’indomani dell’11 settembre 2001, con il ritiro delle ultime truppe straniere dall’Afghanistan (ci sono rimaste per 20 anni, erano arrivate per scalzare i talebani al potere e hanno infine lasciato il controllo del Paese… ai talebani), i nuovi conflitti in Ucraina (soprattutto) e in Medio Oriente e le preoccupazioni correlate forniscono oggi la motivazione per un rinnovato e inevitabile (che dir si voglia) ricorso alla contrazione di nuovo debito con l’élite finanziaria internazionale per finanziare il riarmo. E il comparto militare-industriale, ovviamente. Quest’ultimo si candida così a svolgere il ruolo di datore di lavoro di ultima istanza in una società in cui la radicale competizione liberista trasforma sempre più persone in potenzialmente ingestibili (per il potere politico ed economico) bocche da sfamare. Un modello che, plausibilmente, si realizzerà a discapito di altri settori meno “strategici” per il sistema denaro. Perché niente come il tintinnio di sciabole risuona in maniera armonica con il fruscio delle banconote.

 

 

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