È allettante leggere Letta e la Segre che dicono alla Meloni di eliminare la fiamma tricolore dal simbolo di Fratelli d’Italia.
Per quel simbolo, per aver creduto nella visione di mondo e di uomini, nella trasmissione e nell’ideale che porta con sé, qualcuno è anche morto, altri hanno avuto la vita distrutta, tanti, invece, pestati di brutto; per l’altro, al massimo, qualcuno si è beccato una poltrona, venendo a sapere della notizia mentre Joao gli portava le pantofole e delle noci macadamia fresche, in un attico del Pantheon. Ma è normale: chi ha rinunciato alla propria identità, questo non lo può capire. È una sfumatura che non può cogliere.
Specie per quel Partito Decromatico che ha perso ogni colore, eccetto quello della convenienza politica, che dagli ultimi e dalle periferie é passato a essere periferia della politica, del reale, e di una sinistra che non rappresenta più la prossimità, che ha rotto il contratto sociale, e che ha spinto i propri elettori dalle braccia di Marcuse, Adorno, Chomsky, Gramsci e Pasolini a quelle di Marco Rizzo, che li ha condotti dalle fabbriche ai Parioli nel centro di Roma.
Si preoccupi di questo, l’allettante Letta; si preoccupi del fatto che il volto struccato del PD è salvo grazie al parlamentarismo – si veda, altrimenti, l’ormai scomparso consenso ampio nelle regioni o alle tornate delle amministrative – e all’abuso che se ne fa in un Paese – ormai qualificabile come nord africano – in cui la dignità e la decenza politica sono ridotte a una pozzanghera di vomito.
L’allettante Letta si curi del fatto che la sinistra, grazie proprio alla figura polarizzante del PD, a livello di generazione della cultura di massa e di estensione ideale ed elettorale, affronta una nuova adolescenza, da scappata di casa, dopo aver litigato con i padri, che fa di tutto per non farsi comprendere e che tenta di esistere quasi esclusivamente nella contrapposizione e non nell’affermazione; ce l’ha col mondo, ha le idee confuse e cambia riferimenti, da Ivano da Marino – dal nome evocativo ma ben distante da Alberto da Giussano – a Chef Rubio, da Melenchon, a Greta, passando per Carola Rackete, fino alle orride Sardine, volando su qualche cantante e attore della periferia dell’arte, su cui non vale neanche la pena spendere qualsivoglia considerazione.
È allettante leggere Letta. Vederlo convinto di essere uno statista, un prosecutore ideale, il rappresentante delle masse vincenti e furenti. È allettante leggere Letta che dice alla Meloni di eliminare la fiamma tricolore dal simbolo di Fratelli d’Italia. Questo incredibile anelito di democrazia e modernità, di rispetto dell’intelligenza collettiva che ha superato agilmente (oplà!) gli anacronismi – eccetto quando si tratta di estinguere tutto ciò che si pone come alternativo all’imposto, che verrà sempre definito fascismo (in assenza di fascismo) – questo incredibile senso di maturità civile, perché non viene applicato anche in altri ambiti? Come dare l’esempio per essere esempio. Il segretario del PD dice alla Meloni di eliminare la fiamma maledetta, ma perché prima non dice ai morti di fama che vagano, come anime in pena, intorno al suo ideale, di tappare la bocca quando si tratta di insultare Giorgia Meloni (non occorre fare esempi, da Elodie, a Giorgia, passando per Toscani, è tutta un’invettiva)? Uno scambio di cortesie tra signori, che non avverrà mai; perché la vita non è un film. La politica italiana, invece, lo è: una sciatta commedia di quart’ordine – basti pensare a Di Maio che si candida con Tabacci o banalmente all’accordo del capriccio borghese Renzi-Calenda, ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi).
Dunque, Letta l’allettante si metta in testa che ognuno fa come crede e che nei nostri giorni non spetta più neanche al Papa l’emanazione di patenti morali.
La linea di continuità, invece, non è un reato, signora Segre. Non lo è la sua, non lo è quella degli altri.
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