La simultanea presenza di Fermo e Lucia e dei Promessi sposi in una biblioteca casalinga denota molto dell’inquilino che abita l’appartamento. Persona di cultura, probabilmente; oppure anche semplice curiosità intellettuale – la sua – di vedere il come e il perché dei tanti cambiamenti di quello che viene riconosciuto – piaccia o no – il maggiore romanzo in lingua italiana di sempre.  Quelle “variazioni” (che hanno tenuto occupato Manzoni per quattro lustri) sono poi diventate il pane di tante generazioni di filologi. Insomma l’Accademia è grata di tanti scrupoli stilistici e linguistici. Ma quel clamore è ormai lontano.

Un clamore più contenuto ha suscitato la riedizione di alcune opere di Umberto Eco. L’autore de Il nome della rosa – a distanza di anni – è tornato su alcuni suoi lavori. Segno, questo, che a detta almeno del suo editore e della cerchia dei suoi più stretti frequentatori e ammiratori, c’era bisogno di aggiornare libri che possono ancora essere letti con profitto e piacere da nuove generazioni di lettori. I libri in questione sono proprio i suoi due primi romanzi. Le “correzioni” del primo successo (davvero planetario) ormai sono lontane nel tempo. Il nome della rosa da quella revisione ne ha tratto beneficio perché, come ha spiegato lo stesso autore, non si è toccato nulla di importante. Al contrario l’editing ha toccato soltanto fastidiose ripetizioni linguistiche e poco più. Quel libro, quindi, resta praticamente intatto. E ancor oggi potrebbe essere tirato giù dagli scaffali da qualche giovane, magari incuriosito dopo averne visto la splendida versione cinematografica con Christian Slater e Sean Connery.

Diverso il caso de Il pendolo di Foucault che la Bompiani ha riportato da poco nelle librerie in una versione – questa sì – aggiornata. Già, perché era l’ormai lontano 1988 quando Umberto Eco pubblicò la storia dello studioso Casaubon, dello “scrittore inconsapevole” Balbo, dello spregiudicato editore Garamond e del complotto dei Rosa Croce e dei Templari. La nostra società era completamente diversa. Eppure in quel romanzo si trovano in nuce molti elementi dell’oggi. A cominciare dal parossismo informativo di internet e della tecnologia digitalizzata che nei computer degli anni Ottanta non era facile da preconizzare ma che Eco già individua con lucidità. Ecco perché forse è ancora il caso di leggerlo e farlo leggere questo fascinoso romanzo, pieno di ritmo e di citazioni. Soprattutto degna di lettura è la descrizione di quel cervello elettronico (come si chiamavano allora i computer) di nome Abulafia, che racconta dell’oggi molto più di quanto lo stesso autore un quarto di secolo fa potesse immaginare.

 

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