“Ho scritto solo di cose che ho sentito sulla mia pelle e di cose che ho vissuto direttamente”. Ecco la candida e incosciente innocenza dei grandi! In questo caso ci riferiamo a Vasilij Grossman, uno dei più importanti scrittori russi del Novecento. Sicuramente la sua ingenuità e la sua passione politica sono direttamente proporzionali alla sua lucidità di giornalista e alla sua sensibilità di scrittore. Tanto da farne uno dei simboli della resistenza al totalitarismo sovietico e al contempo il nume della letteratura russa, secondo solo a Dostoevskj.

Il suo romanzo Vita e destino (pubblicato da Adelphi nel 2008) non sfigurerà mai in nessuna libreria. Lo si può tenere in bella vista. Sicuramente, quando lo si prenderà in mano, il suo messaggio sarà sempre toccante e attuale. Questo libro (la cui prima edizione italiana risale al 1984 per la casa editrice Jaca Book) lo si può mettere tranquillamente accanto agli altri capolavori della letteratura del Ventesimo secolo, oppure in fila insieme con i suoi colleghi russi (da Puskin a Bulgakov). Altrimenti si può creare una sezione dedicata a quegli autori (e non sono pochi) che hanno smascherato le micidiali ipocrisie dei totalitarismi come Primo Levi, Arthur Koestler e George Orwell. Il nome di Grossman (nato nella cittadina ucraina di Berdyčiv nel 1905 e morto a Mosca nel 1964) è tornato  agli onori della cronaca perché il manoscritto originario di Vita e destino è miracolosamente tornato alla luce. Dopo più di mezzo secolo, i Servizi segreti russi hanno deciso di restituire alla famiglia dello scrittore il prezioso documento che era rimasto sepolto negli scantinati della Lubianka.

Ultimamente non si fa altro che sparare contro la Russia e le decisioni impopolari del suo governo. Eppure, la restituzione del manoscritto di Grossman alla sua famiglia, con una piccola cerimonia commemorativa, dimostra che anche laggiù ogni tanto si fa qualcosa di buono. Anche il Foglio del 10 agosto scorso ha sfruttato l’occasione per ricordare l’autore, definito da Giulio Moschi “autentico Erodoto della Seconda guerra mondiale”. Si raccontano le battaglie della guerra, intervallate da episodi che riguardano più da vicino la vita sovietica. Insomma tutti gli orrori del periodo più buio dell’umanità (dai lager ai gulag) sono presenti in questo libro, ma sono trattati con un occhio lucido e al tempo stesso estremamente partecipato (è l’unico romanzo, peraltro, che denuncia le uccisioni di massa degli ebrei sia in Russia che in Germania).

Solo da questo si potrebbe ricavare una lezione immortale. Una testimonianza che fa venire i brividi ma che insegna a non dimenticare gli orrori passati. Grossman, però, sfrutta anche l’espediente narrativo della polifonia per infilare perle di saggezza che, considerando il tempo in cui il libro fu scritto, fanno dell’autore un autentico eroe. Basti un solo esempio: “Le assemblee umane hanno un unico scopo: conquistare il diritto a essere diversi, speciali, il diritto di sentire, pensare e vivere ognuno a suo modo, ognuno a suo piacimento. E’ per conquistare questo diritto, per difenderlo o estenderlo, che le persone si riuniscono. Di qui, tuttavia, ha origine anche il pregiudizio tremendo ma fortissimo che l’unione in nome di una razza, di un Dio, di un partito o di una nazione non sia un mezzo, bensì il senso della vita. No e poi no! L’unica ragione vera ed eterna della lotta per la vita è l’uomo, la sua pudica unicità, il suo diritto a essere unico”.

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