Il successo può essere un boomerang. Quanti film, racconti e opere musicali hanno messo al centro della scena questa dura sentenza del destino? Tanti. Inutile star lì a contarli. Però fa riflettere l’ultima scoperta in campo letterario. E’ infatti venuta alla luce una lettera autografa di Lewis Carroll (1832-1898) in cui l’autore di Alice nel paese delle meraviglie si lamenta per il rovescio della medaglia della fama. Questa lettera sarà battuta all’asta dalla casa Bonham di Londra il prossimo 19 marzo. Con un prezzo base di 4mila sterline.  Firmata con il suo vero nome, quello di Charles Dodgson, nella lettera lo scrittore inglese dichiara di odiare «di essere notato e fissato da estranei, e trattato come un leone»  da guardare da lontano. «E io odio tutto ciò così intensamente che a volte avrei quasi desiderato di non aver scritto nessun libro»,  aggiunge Carroll noto per il suo carattere schivo e timido. La lettera risale al 1891 e fu indirizzata da Carroll a una sua cara amica, Anne Symonds. Il libro che ha fatto esplodere la popolarità di questo schivo professore di matematica è stato pubblicato un quarto di secolo prima (1865). Un tempo lungo durante il quale Carroll deve prima aver apprezzato e poi progressivamente considerato insopportabile tutta quella attenzione sulla sua persona e sulla sua vita privata. Chissà cosa avrebbe pensato oggi, il “padre” di Alice, vedendo quanto i media sono diventati invadenti. Quanto sono entrati di forza e prepotenza nella vita di tutti e soprattutto dei personaggi pubblici.

Nello stesso momento in cui i giornali danno conto di questo disagio (che risale a più di un secolo fa), è stata pubblicata da un giornale spagnolo un’intervista (dai nostri giornali prontamente rilanciata)  in cui Roberto Saviano  denuncia proprio il peso della fama. Una fama enorme che, nel suo caso, ha distrutto la sua vita quotidiana e la sua serenità. Al punto di costringere l’autore di Gomorra (Mondadori) a ricorrere agli psicofarmaci.

La fama è quindi un peso scomodo e condizionante e viene quasi spontaneo, a questo punto, augurare ai bravi scrittori di non vendere tante copie dei loro libri. Sì, insomma, di non avere la classica “fortuna letteraria”. E non per dar ragione a Honoré de Balzac che sentenziava: “La tanto bramata fama è quasi sempre una prostituta incoronata”. Semplicemente per dar loro la serenità necessaria per continuare il lavoro senza condizionamenti eccessivi. Come è successo, ad esempio, al nostro poeta Valentino Zeichen. Ha vissuto tutta la vita soltanto della sua poesia. Una coerenza di vita e di vocazione che certo non lo ha reso famoso (almeno per le masse, gli addetti ai lavori lo conoscono e lo apprezzano da sempre). In un’intervista di tre giorni fa risponde da par suo alla popolarità (e al successo). “La cosa che in fondo ho amato di più – spiega – è statala libertà. Nelsuo nome avrei fatto qualunque cosa. Ho combattuto solo per essa. So che ci sono regole da rispettare. Ma la testa deve essere libera. Anche al prezzo di restare poveri”. Ora la sua casa editrice (Mondadori) ha deciso di pubblicare in un unico volume tutte le sue poesie. Un’occasione davvero ghiotta per mettere in libreria un titolo davvero importante. Che ancora fra vent’anni risulterà nuovo e godibile. Insomma un classico.

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