I paradossi che fanno bene a Romeo e Giulietta
È iniziata la stagione delle letture estive. Soprattutto per i nostri ragazzi. I consigli si sprecano. E spesso cadono nel vuoto. “Leggete Calvino!” “Mettete Stevenson in valigia!” “Se proprio ti piace la lettura con brivido non fare a meno di Edgar Allan Poe!” E via dicendo. Spesso i consigli sono solo parole al vento, e i giovani (nel più fortunato dei casi) fanno di testa loro, scelgono autonomamente, magari testi più ostici, magari testi più complessi. Approfitto della vetrina di questo blog per segnalare ai genitori che ne fossero interessati la nascita di una nuova collana della De Agostini. Ovviamente il “segmento” (parola orribile dei maghi del marketing) è quello degli young/adult, vale a dire i teenager che si affacciano alla vita adulta senza perdere l’ingenua spontaneità della giovinezza e la sua irruenza. Tra i primi testi di questa collana c’è la storia d’amore per eccellenza, tragica e romantica a un tempo, nella traduzione di Giuseppe Iacobaci. Copertina leggera, caratteri molti mossi, colori accesi. Non sembra, apparentemente, la confezione migliore per una storia d’amore che si risolve con un doppio suicidio. Però quel che conta sono i risultati. Il fine giustifica i mezzi e in effetti portare un ragazzo a tirar su dal banco della libreria un libro del genere è l’obiettivo primo (non ultimo). E ogni mezzo è buono.
Se proprio avete bisogno di dare qualche suggerimento ulteriore per invogliare i nostri ragazzi a prendere in mano questo testo invogliateli con un paio di paradossi. Il primo è che siamo noi (intendendo con noi chi non ha avuto in sorte di essere english mother tongue) ad avere il primato della lettura dei testi shakespeariani. Ormai sono letti soprattutto in traduzione visto che l’originale è piuttosto ostico (perché in un inglese desueto) per gli anglofoni. Quindi sono gli stranieri che leggono di più e più volentieri Romeo e Giulietta e che se i nostri ragazzi si portano in tasca o nello zainetto questo volumetto faranno un figurone praticamente ovunque. Il secondo paradosso riguarda quella che è la sintesi della storia: non si tratta di una bella storia d’amore e soprattutto non si tratta di una storia d’amore invidiabile. Il secondo paradosso è riassunto nella pubblicità di una libreria che mi è capitato di leggere tempo fa. Su una lavagna era riportata questa frase “Ci sono persone che vogliono una storia come quella di Romeo e Giulietta senza sapere che è durata tre giorni e ci sono stati sei morti! Bisogna leggere!!!” cui seguivano le indicazioni stradali per raggiungere la libreria. In effetti non è la storia migliore o più felice. Né tanto meno quella più edificante. Sicuramente quella più appassionata, tanto appassionata da rendere ciechi i suoi stessi attori e quindi da condurli a una fine violenta. Però una volta letta i nostri ragazzi potranno sbeffeggiare tutti coloro che in essa (o meglio nei luoghi comuni che la ammantano come una nebbia impenetrabile) vedono l’apice del romanticismo.
Però il dramma ha anche una sua straordinaria utilità letteraria. Shakespeare sdogana una nuova sensibilità per i diritti della persona. Ci vorranno secoli per arrivare a un traguardo definitivo, ma è proprio col dramma shakespeariano che inizia la lunga guerra della letteratura moderna contro i matrimoni combinati. Nello specifico, l’edizione De Agostini si avvale anche di una preziosa prefazione di Emanuele Trevi. In un linguaggio chiaro ed estremamente semplice, Trevi guida il lettore non solo attraverso la lettura di Romeo e Giulietta ma attraverso il lungo sentiero che la parola letteraria ha asfaltato per rendere il nostro viaggio più autentico e più illuminante. Basta l’incipit per rendersene conto: “Le storie che si raccontano gli uomini si dividono in due grandi classi: quelle inventate da una singola mente nella loro versione unica e definitiva, e quelle che invece prendono forma attraverso un lavoro collettivo, un po’ come quelle chiese del Medioevo la cui costruzione aveva bisogno di tempi lunghissimi e dell’impegno di molte generazioni. Alla prima classe appartengono libri come il Don Chisciotte o Le avventure di Pinocchio: se non fossero esistiti Miguel de Cervantes o Carlo Collodi, quelle storie, semplicemente, non sarebbero mai esistite. Le storie dell’altro tipo, invece, non hanno un vero padre: certamente qualcuno le avrà raccontate per primo, ma il primo che le ha raccontate non è mai il migliore a farlo. Come una proprietà comune, passano di mano in mano, e ognuno le modifica a seconda del suo talento e dei suoi interessi. Nella maggior parte dei casi, il passare del tempo le condanna alla dimenticanza. Ma a volte arrivano nelle mani di un genio, capace di renderle immortali. È esattamente quello che accadde alla tragica storia di Giulietta Capuleti e Romeo Montecchi”.
Quindi i nostri figli adolescenti potrebbero leggere con piacere questa immortale storia d’amore, forse gustando di essa soprattutto gli eleganti artifici retorici di Shakespeare che si esprimono meglio proprio nelle parti meno conosciute e con la voce dei personaggi meno importanti. Di sicuro verrebbero tranquillizzati, a lettura ultimata, dalla consapevolezza che non rischiano una fine come quella di Romeo e Giulietta. Semplicemente perché ormai i legami sentimentali se li scelgono in assoluta autonomia.