Il romanzo “cubista” di Paul Auster
L’ultimo romanzo di Paul Auster (4321, pubblicato da Einaudi) mi ha fatto pensare al Cubismo. Alla corrente pittorica in generale, ma in dettaglio ad alcuni ritratti di Picasso. La mia conoscenza dell’arte è pressoché nulla. Mi è rimasto, però, in qualche angolo della memoria un brandello di una sintetica spiegazione della poetica cubista, laddove si diceva che questo movimento di arte ancora figurativa mirava a rappresentare i differenti aspetti di un singolo oggetto, nel momento di analizzarlo. Ed è a questa sommaria spiegazione che la mia mente è spesso andata leggendo le 939 pagine di questo straordinario romanzo. Straordinario perché fuori dall’ordinario. E fuori dall’ordinario perché offre non una storia bensì quattro. E non quattro protagonisti, bensì uno solo. Archie Ferguson è il suo nome. Ed è facilmente riconducibile a una sorta di alter ego dello stesso autore. Le quattro storie che Auster ci propone, però, non sono quattro differenti avventure vissute da Archie. Bensì quattro possibili biografie. In quattro differenti incroci, il protagonista ha preso sempre una strada diversa. Portando non soltanto lui ma tutto il mondo che gli gira intorno a vivere un’altra possibilità. E quel mondo è comunque New York, Newark, la Columbia University, Parigi, Londra, e tutti gli angoli dove un aspirante scrittore americano andrebbe a sbattere nei primi anni Sessanta. Se fino a oggi nessuno ci aveva pensato, beh… ecco la geniale trovata dell’autore della Trilogia di New York: offrire un romanzo cubista. Un romanzo che riveli quattro diverse possibilità di un solo destino. Un modo, forse un po’ artificioso ma efficace, di andare in profondità nel mondo interiore di un personaggio. Un espediente per raccontare la sua evoluzione, i suoi amori, le sue inclinazioni. Questo romanzo non ha precedenti. Almeno a mia memoria. Invito tutti, però, a contraddirmi se possibile. Mi piacerebbe davvero sapere se esistono altri romanzi che raccontano le diverse potenzialità di un’anima, di un carattere, di una mente, di un corpo. Il romanzo di Auster, inoltre, diventa per necessità un’apologia, la migliore se è possibile, dell’umano. Inteso non soltanto come sensibilità e intelligenza, come sinapsi e come carne, bensì un umano dove i pensieri diventano vita, dove i rimpianti diventano passato vissuto o futuro ancora da vivere. La ricchezza di sfumature che offre il personaggio di Archie Ferguson, declinato in quattro differenti paradigmi, non ha pari nella letteratura di oggi. E per trovare personaggi altrettanto ricchi devo tornare con la mente a tre personaggi femminili: la Isabel Archer di Henry James (Ritratto di signora), la joyciana Molly Bloom, Clariss Dalloway (Virgina Woolf) e Charles Swann (Marcel Proust). A differenza di questi, però, il nostro Archie Ferguson ha avuto la possibilità di vivere in quattro mondi paralleli. Senza nemmeno andare ad abitare in un romanzo di fantascienza. 4321, però, è anche un metaromanzo. Uno di quei racconti che esaltano l’arte di scrivere e il “mestiere” dello scrittore. E lo fa in maniera affatto originale. Con un finale, a suo modo, a sorpresa. Insomma è indubbio che questo titolo di Auster si è guadagnato un posto di rilievo nella libreria domestica che raccoglie classici e “libri di catalogo”. Con un solo piccolo appunto per alcuni passaggi un po’ trascurati della traduzione.