Con Joyce sulla rive gauche
Nostalgia canaglia. Io la intitolerei così una recensione dedicata al libro Shakespeare and Company scritto da Sylvia Beach a metà degli anni Cinquanta e tornato adesso nelle nostre librerie grazie al prezioso lavoro di Neri Pozza (traduzione di Elena Spagnol Vaccari e introduzione di Livia Manera). Si tratta di un libro di memorie dedicato a un luogo dell’anima. Uno di quei posti dove si è fatta la storia del Novecento. Almeno dal punto di vista letterario. Shakespeare and Company era infatti una libreria. Una libreria originale e famosissima. Almeno nell’ambiente cosmopolita e altamente vivace della Parigi degli anni Venti. Una libreria che non vendeva semplicemente libri. Un luogo dove i libri si creavano, dove maturava l’intelligenza letteraria degli scrittori e dove – alla fine – è stato pubblicato anche uno di questi capolavori, se non IL capolavoro per antonomasia del Novecento: l’ Ulisse di James Joyce.
Ma andiamo con ordine. In questo libro di memorie la signora Beach, americana, figlia di un pastore presbiteriano e professore di teologia a Princeton, racconta della sua seconda vita. Quella passata a Parigi. Prima come studentessa squattrinata poi come libraria. La Parigi di quegli anni attirava molti americani. Prima di tutto perché non c’era l’ipocrita condizionamento del proibizionismo e poi perché il cambio dollaro-franco era così favorevole al primo che tutto, nella capitale francese, era a buon mercato. Soprattutto affittare locali sulla rive gauche per aprirvi una libreria di testi in lingua inglese.
Ed è qui che entra in gioco l’espressione “nostalgia canaglia”. La si può pronunciare a squarciagola quando ci si rende conto di quanto quei tempi siano lontani e differenti dal nostro presente. La signora Beach apre una libreria semplicemente per rispondere a un bisogno diffuso. Erano tanti gli americani parigini “bisognosi” di leggere nella propria lingua. Oggi sarebbe equivalente aprire un negozio di telefonini per “rispondere” alle esigenze dei clienti. Insomma leggendo le pagine di Shakespeare and Company ci si rende conto che quel tempo è così diverso dal nostro. Dove le librerie stanno ormai chiudendo tutte e non solo per colpa dell’e-commerce.
Il successo della libreria è da subito di proporzioni enormi. Non solo Sylvia Beach vende i romanzi inglesi e americani più in voga e più interessanti del tempo, ma li “affitta” anche. Un’idea originale per venire incontro a quella nutrita parte della sua clientela non in grado di acquistarli direttamente. Tra questi c’è ovviamente James Joyce. Insieme con Ernest Hemingway, è il nume “tutelato” della libreria di Sylvia. Più che musa, la libraia americana è balia degli scrittori. Li aiuta, li assiste, li coccola e li facilita nel loro lavoro. E, nel caso di Joyce, li pubblica. Perché è proprio l’originale avventura editoriale dell’Ulisse il cuore di questo libro di memorie. Che andrebbe letto anche solo per sapere tutto su quel capolavoro, sulla sua incubazione e sulla sua diffusione.
Oggi fa venire i brividi anche il più sintetico elenco di frequentatori assidui del salotto librario della signora Beach. Da Gertrude Stein ad André Gide, da Valery Larbaud a Francis Poulenc, da Eric Satie a Paul Valery, e soprattutto Hemingway, F. S. Fitzgerald e Ezra Pound. E la famiglia Joyce al completo.
Questo libro andrebbe letto dai giovani per capire cos’era una società fondata sulla scrittura e sulla lettura. Dove le librerie come quella di Sylvia Beach e quella della sua amica del cuore Adrienne Monnier (che le dette l’idea e che le trovò gli spazi, offrendole anche tutto il supporto necessario) erano luoghi animati e vivaci. E soprattutto sempre pieni di gente curiosa e interessata.
Poi il libro è anche una preziosa testimonianza delle peripezie affrontate dalla signora Beach per aiutare Joyce nel suo lavoro di scrittore. Sarà lei a pubblicare la prima edizione ufficiale dell’Ulisse. Tutti i dettagli di questo lungo e faticoso parto editoriale sono illuminanti.
Se proprio un difetto vogliamo trovarlo alla scrittura della signora Beach, dobbiamo sottolineare il vezzo di parlare di un’epoca e dei suoi protagonisti come già soffusi dall’aura della celebrità. Facile dire si trattasse dei Maestri del Novecento a metà degli anni Cinquanta. Difficile immaginarlo negli anni Venti, anche se molti di loro erano ben promettenti. La canonizzazione di quasi tutti gli amici e frequentatori della libreria Shakespeare and Company viene dopo. Eppure quando entrano per la prima volta nella libreria molti di loro (ancor giovani e con sparute pubblicazioni alle spalle) hanno già il carisma dei maestri riconosciuti. Vezzo questo, assolutamente perdonabile visto il contributo che la testimonianza della Beach offre per illuminare una delle epoche (anni Venti e Trenta a Parigi) tra le più vivaci dal punto di vista culturale che ci siano mai state.