Come è vero che non ci si bagna mai nello stesso fiume, altrettanto vero è che non si rilegge mai lo stesso libro.  Soprattutto se è un buon libro, aggiungerei.  Soprattutto se è un classico. I classici, infatti, hanno sempre qualcosa da insegnare. Lo si è detto mille volte: sono quei libri che parlano a tutti e che superano la prova del tempo.

Però la frase “non si rilegge mai lo stesso libro” ha un significato anche più semplice. L’americano Stanley Fish nel 1980 pubblico il saggio C’è un testo in questa classe? L’interpretazione nella critica letteraria e nell’insegnamento (pubblicato in Italia da Einaudi nel 1987) dove chiarisce un dettaglio illuminante: il testo si riproduce identico in migliaia di copie ma ogni lettore nel farlo suo lo rende unico. Un esempio? Se dico “La mela è sul tavolo” ognuno di noi leggendo assocerà quella mela a un particolare frutto che si mostra alla sua memoria visiva. E altrettanto farà col tavolo e con le pareti della stanza. Insomma, ognuno di noi leggerà questa identica frase ma nella sua mente “vedrà” un’immagine differente.

Fish mi è tornato in mente rileggendo Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino (nell’ultima e definitiva edizione di Adelphi). Questo, si sa, è un testo molto particolare. L’autore è andato riscrivendolo per oltre trent’anni. Anzi, più che riscriverlo, lo ha corretto, ampliandolo a ogni edizione. Si è partiti dalla prima più snella di Feltrinelli del ’63, seguita dalla seconda edizione riveduta e ampliata sempre per Feltrinelli nel 1967 e da quella Einaudi del 1976. Sul perché mi è venuto in mente Fish rileggendo lo scrittore di Voghera ci tornerò più avanti. Prima qualche accenno su questo capolavoro del nostro Novecento.

Arbasino non si è mai allontanato da questo testo. Forse perché non è un semplice romanzo. Al contrario. La trama narrativa è esile ed è solo un pretesto. “Le citazioni – come ha spiegato Raffaele Manica nell’introduzione al Meridiano dedicato allo scrittore (morto novantenne nel marzo di due anni fa) – sostituiscono l’intreccio: sono avventure verso mondi noti o meno noti o ignoti”.  Goethe, Stendhal, Petronio, Parini… non si contano i modelli per questa opera. Che appunto non vuole essere di invenzione. Nel laboratorio di Arbasino i materiali culturali sono tanti. Attratto dalla ricerca dei nessi e dalla polivalenza delle citazioni, l’autore di Fratelli d’Italia regala la scena a due giovani intellettuali che sulla soglia dei Sixties girano l’Italia affamati di cultura e di esperienza. E grazie proprio a un bagaglio culturale che non hanno formato nei ristretti e provinciali ambienti italiani degli anni Trenta e Quaranta bensì “oltre Chiasso” in un contesto cosmopolita e non ideologizzato, i due sono capaci di analizzare con distacco e senza pregiudizi non solo l’ambiente culturale, ma anche quello mondano e politico che ha regalato al nostro Paese un effimero boom economico. L’apparente frivolezza dei due protagonista si rivela come l’altra faccia di una rigorosa presa di posizione che fa strame non solo di pose e ideologie ma anche di tutte le ipocrisie e le maldicenze imposte dalle nostre conventicole italiote.

Arbasino confeziona un testo esemplare di quella categoria che Umberto Eco ha chiamato “opera aperta”. Anzi è l’opera aperta per antonomasia. “La letteratura – cito dal finale pirotecnico di Fratelli d’Italia nella sua ultima stesura – non è fatta solo di testi definitivi e ne varietur. La maggior parte potrebbero rivelarsi stesure che si dimostreranno provvisorie, perché riescono a migliorare ogni volta che ci si ritorna su, artigianalmente con la mano e con l’occhio, coi saperi accumulati”. La musa per Arbasino è un meccanismo di memoria che “ti rovescia addosso cumuli di idee, connessioni, associazioni frasi compiute come motivi musicali” mentre magari sei in tutt’altre faccende affaccendato. E su questo spettacolo pirotecnico di suggestioni e di rimandi il lettore può perdersi. Può rimanere a bocca aperta.

Cosa succede, poi, se questo stesso libro viene letto in età differenti? D’altronde è sicuramente un classico. Almeno per quanto riguarda il Novecento italiano è un testo imprescindibile. E come tale non perde di “attualità” e di “universalità”. La prima volta che l’ho letto ero studente universitario. Poi l’ho riletto ancora una volta una decina d’anni dopo. E infine ora.  E  posso dire che l’avvicinamento a questo lavoro è progressivamente avanzato. Il mio bagaglio culturale si è sviluppato. Permettendomi di godere allusioni, citazioni e calchi che un lettore ingenuo, giovane, ignorante non può cogliere. Il piacere del libro, paradossalmente, aumenta con la rilettura. D’altronde, anche se il finale è melodrammatico non c’è nulla che possa stupire il lettore più della scoperta di nuovi nomi, nuove opere, idee, citazioni e situazioni che in un primo momento potevano essere nient’altro che tappezzeria o rumore di fondo.

Se è vero che non ci si bagna mai nello stesso fiume e che due persone differenti non leggeranno mai lo stesso libro, è anche vero che con Fratelli d’Italia non si finisce mai di imparare e di godere della cultura conquistata.

Tag: , , , , , , , , , , , , ,