Non si può rinunciare a Italo Calvino. Proprio no. Ne abbiamo ancora bisogno e soprattutto ne hanno bisogno i nostri ragazzi. A pochi giorni dal suo novantesimo compleanno (chissà che celebrazioni riceverebbe se fosse ancora vivo…) il suo ricordo è ancora vivido nella mente di chi ha letto con passione i libri indicati dai professori ai tempi della scuola e negli occhi riconoscenti di tutti i nostri librai. I suoi romanzi e saggi fanno ancora bella mostra di sé sugli scaffali di tutte le librerie. E le vendite proseguono con ritmo costante (anche se non in quantità da bestseller). Quando, nel 1990, la Mondadori convinse gli eredi dello scrittore a venderle i diritti dell’intera opera, si è ragionato soprattutto in termini di immagine. Molti storcevano il naso al pensiero che una colonna portante dell’Einaudi traslocasse a Segrate. Eppure, a tanti anni di distanza, quello che rimane è soltanto una copiosa messe di titoli, ottimamente pubblicati, solidamente promossi, e pervicacemente distribuiti dalla più grande casa editrice italiana per quello che viene considerato uno dei numi tutelari delle patrie lettere novecentesche.

In questi giorni non ricorre soltanto il novantesimo della nascita, ma anche il trentesimo dalla pubblicazione del suo ultimo libro, quel Palomar che raccoglieva brevi racconti che Calvino è andato pubblicando sul Corriere della Sera nei primi anni Ottanta. Un libro importante (Palomar), perché è summa dell’intero corpus letterario dello scrittore ma anche rappresenta il suo testamento, visto che è stato l’ultimo titolo a uscire in libreria con l’autore ancora vivo.

Ed è proprio a Palomar che vogliamo dedicare questo post. Il libro raccoglie le avventure “intellettuali” dell’omonimo individuo. Il quale cerca con tutte le sue energie di conquistare il senso della realtà attraverso uno sguardo rinnovato e inedito del mondo. Lui, soprattutto, ci mette di suo una nuova attitudine. E questo sforzo è quasi commovente.

L’idea è quella di ricostruire con il massimo sforzo intellettivo la verginità dello sguardo assoluto proprio degli occhi dell’infanzia, cui aggiungere una cornice di razionalità pura. Insomma, il massimo di umanesimo possibile per un testo letterario quanto mai algido, fino al rischio di freddezza assoluta.

Per fortuna, da grande scrittore quale Calvino ha ampiamente dimostrato di essere, c’è l’ironia propria dello scrittore. C’è un umorismo molto raffinato a fare da controcanto elegante, in un testo che altrimenti rischierebbe di divenire soporifero. Eccone un esempio (che tra l’altro può essere letto altrettanto bene come definizione del lavoro dell’intellettuale tout court). “Il signor Palomar ha la fortuna di poter dire che lavora in luoghi e atteggiamenti che si direbbero del più assoluto riposo; o per meglio dire, ha questa condanna, che si sente obbligato a non smettere di lavorare, anche sdraiato sotto gli alberi in un mattino d’agosto”. E meno male che quando Calvino scriveva i racconti di Palomar non esistevano ancora Twitter e internet. Altrimenti avremmo letto qualche corrosivo passaggio anche sulla superficialità del presenzialismo internettiano degli intellettuali (tanto stigmatizzato da Jonathan Franzen pochi giorni fa).

E a proposito dei social network viene in mente che Palomar è forse uno dei testi calviniani meno sfruttati dai programmi scolastici. Un errore di valutazione, diremmo noi, visti i mala tempora che corrono. Ai ragazzi farebbe bene confrontarsi col signor Palomar. Imparare da lui l’analisi dell’osservazione priva di pregiudizi. E, magari, imparerebbero anche a sorridere di tutti i paradossi che si nascondono dietro opache ovvietà. Come quando, osservando due tartarughe accoppiarsi, Palomar si chiede “Che cos’è l’eros se al posto della pelle ci sono piastre d’osso e scaglie di corno?”

D’altronde quante volte si sente dire di un autore che è bravo perché a distanza di tempo il suo messaggio rimane attuale? Ecco cosa ci consiglia lo stesso Palomar per il nostro ingresso in società: “In un’epoca e in un paese in cui tutti si fanno in quattro per proclamare opinioni o giudizi, il signor Palomar ha preso l’abitudine di mordersi la lingua tre volte prima di fare qualsiasi affermazione. Se al terzo morso di lingua è ancora convinto della cosa che stava per dire , la dice; se no sta zitto. Di fatto, passa settimane e mesi interi in silenzio”. E poi conclude con una massima proprio del miglior disincanto: “Buone occasioni per tacere non mancano mai”. Queste parole sono state scritte all’inizio degli anni Ottanta, ma ovviamente sono validissime anche in tempi di Twitter-mania.

 

 

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