La cultura? E’ soltanto un paradosso
Rileggendo i testi che compongono Sull’ignoranza delle persone colte e altri saggi di William Hazlitt (ora ripubblicato da Fazi) mi è venuta in mente una scena del film Il sorpasso di Dino Risi.
Sulla pellicola c’è poco da dire. Si tratta di un classico (quasi suo malgrado), un capolavoro mi verrebbe da aggiungere, che come pochi film ha saputo raccontare l’Italia qual era (nel ’62) e quale sarebbe divenuta poi. Questo road movie ha due protagonisti: Vittorio Gassman e Jean Louis Trintignant. Il primo (alias Bruno Cortona) è un arrampicatore sociale, privo di scrupoli, corrivo, cialtrone e fantasioso. Il secondo (Roberto Mariani) sembra quasi impersonare l’essenza dell’antitaliano, così ligio alle regole, così timoroso e soprattutto così studioso. Campione di una borghesia ormai in via di estinzione. I due partono da Roma per un viaggio agostano fuori programma. A un certo punto fanno sosta nel Grossetano. Vanno a trovare alcuni parenti di Mariani. E quando si ritrovano tutti in salotto Cortona si accorge che il figlio del padrone somiglia in modo impressionante al fattore. Considerazione banale e spicciola, cui seguono ammiccamenti volgari e risate, che lasciano il povero studente di legge (Mariani) confuso e disorientato. I suoi studi, i tanti libri letti, lo avevano isolato dai fenomeni più cogenti della realtà che lo circonda. Quasi ad anestetizzarlo nei confronti della vita. Mentre Cortona che ha avuto come scuola soltanto la strada sa leggere i volti degli uomini e le alchimie più segrete della “bestia” umana.
Se William Hazlitt (1778-1830) avesse avuto l’opportunità di ammirare il lavoro di Risi sicuramente avrebbe applaudito l’intuizione del regista. Nel suo testo più famoso, se non altro per il paradosso del titolo, c’è in nuce tutta la scenetta recitata da Gassman/Cortona e Trintignant/Mariani.
“L’istruzione è la conoscenza di quello che solo le persone istruite conoscono – scrive nel saggio Sull’ignoranza delle persone colte – .Il più istruito di tutti è colui che conosce al meglio tutto ciò che vi è di più lontano dalla vita quotidiana, dall’osservazione immediata, che non è di alcuna utilità pratica”. Lui, Hazlitt, era indubbiamente una persona colta. Istruita, per l’appunto. E forse viveva questa sua condizione come un handicap. Sempre a corto di denaro, incapace di una relazione stabile (due matrimoni falliti alle spalle), si era gettato nella pubblicistica non solo per dare un senso alla propria istruzione ma anche per provare a incidere concretamente sulla società con una memorialistica e una saggistica che oggi definiremmo “militante” ma che all’epoca era soltanto à la manière de Montaigne.
I saggi qui raccolti compongono in sintesi il pensiero e la poetica di Hazlitt. Campione del buon senso comune, lo scrittore inglese era un individualista convinto (tanto indipendente nel suo modo di pensare e tanto libero da pregiudizi e preconcetti da dichiararsi fanatico difensore di Napoleone anche dopo il disastro di Waterloo). Le sue idee, però, non erano immuni da contraddizioni e paradossi. Per il polemista britannico, ad esempio, la gente comune (il popolo) è sì depositaria della somma virtù del senso comune ma anche intrisa di preconcetti e bigottismo. Tant’è vero che un fine psicanalista avrebbe buon gioco ad analizzare i suoi testi come frutto di un irrisolto groviglio esistenziale. Ha buon agio, Hazlitt, di ripetere a ogni pagina che non si fa esperienza di vita dai libri e che la vera cultura è nell’attività pratica, però continua a ripetere lo stesso discorso condendolo ogni volta con citazioni le più colte e le più varie (dalla Bibbia, da Shakespeare ovviamente, ma anche dai poeti suoi contemporanei come dai filosofi).
Il paradosso di Hazlitt è tutto lì. Vorrebbe uscire dalla torre d’avorio per vivere, ma non rinuncia ai libri e alla cultura letteraria. In ogni momento della sua vita si sente al sicuro solo se accompagnato da libri, riviste e giornali. Ha bisogno della parola scritta, che alla fine costituisce per così dire una seconda pelle. Quasi come i giovani di oggi che sembrano avere bisogno dei social network per sentirsi vivi, quando invece è proprio l’uso di internet e dei vari devices elettronici ad allontanarli da un contatto autentico con la vita e con le persone.