Julian Barnes mette un capolavoro sotto il nostro albero di Natale
Se c’è una cosa che è meglio non fare è quella di regalare un classico o un titolo di catalogo come strenna natalizia. A ben pensarci, anzi, queste due categorie non sono le più indicate quando si tratta di regalare un libro a un amico. C’è sempre il rischio che il destinatario del regalo abbia già letto o possegga il volume. D’altronde non è così difficile immaginare che si abbia letto Madame Bovary. O, per rimanere in tema dei viventi, che si abbia in casa i libri di Philip Roth. Ecco perché questa volta non parlerò di un classico. Vi propongo una novità. Che può farvi fare un figurone nel caso la scegliate come strenna natalizia. Si tratta di un romanzo di Julian Barnes. Non l’ultimo, in ordine di pubblicazione, che è apparso l’anno passato per i tipi di Einaudi (Il rumore del tempo, traduzione di Susanna Basso). Bensì Il senso di una fine del 2012. Il suo editore (Einaudi appunto) ha deciso di riportarlo in libreria in contemporanea con l’uscita del film L’altra metà della storia di Ritesh Batra ad esso ispirato. Quindi a ben vedere il titolo di Barnes di cui parliamo è proprio un titolo di catalogo ma con il crisma della novità (nel senso che è lì a portata di mano in tutte le librerie). Io ne ho approfittato e la lettura è stata davvero illuminante. Dalle prime pagine il lettore frettoloso immagina di trovarsi di fronte al solito triangolo amoroso, condito di elegante humour britannico, di citazioni colte e di un’ambientazione molto accattivante (tra Londra e Cambridge). I protagonisti di questa storia sono dei giovani alle prese con l’ultimo sforzo scolastico prima di approdare al traguardo dell’università. Adrian andrà sicuramente a Cambridge. E’ predestinato. E non solo: è ombroso, enigmatico, a un tempo brillante e fascinoso. Tony ne subisce il fascino e commette lo sbaglio di presentargli la sua fidanzatina del tempo. Veronica, infatti, lo lascerà per l’amico. Così inizia il racconto. Una storia che attraversa il tempo e generazioni. Fino ad approdare alla serena vecchiaia di un pensionato, lo stesso Tony Webster, il protagonista e voce narrante. Un lettore un po’ più attento, però, aziona le antenne ogni volta che un passaggio apparentemente gratuito viene a risuonare tra le pagine (è sempre la vecchia questione analizzata da Anton Checov: quando in un racconto compare una pistola, questa – prima o poi – spara). A far drizzare le orecchie del lettore è il passaggio in cui il professore di Storia chiede ai suoi studenti di parlare dell’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, considerato come evento scatenante il primo conflitto mondiale. “In effetti tutta questa smania – commenta il giovane ed esuberante Adrian – di scaricare su qualcuno la responsabilità non è una specie di scappatoia? Abbiamo bisogno di accusare un individuo per poter assolvere tutti gli altri. Oppure vogliamo prendercela con il processo storico così da poter esonerare gli individui. Del resto, il mio desiderio di assegnare responsabilità ad altri può ben scaturire più dalla mia forma mentis che da un’equa analisi dell’accaduto. Il fatto è insomma che dobbiamo conoscere la storia di chi scrive la storia se vogliamo comprendere la versione degli eventi che ci viene proposta”. Inizialmente non capivo perché un romanzo tanto snello (appena 150 pagine) potesse regalare tanto spazio a una singola lezione di Storia quando poi l’autore doveva sobbarcarsi il peso di una vicenda che sorvolava con andatura placida e mai forzata un lungo lasso di tempo. Di domande, però, il protagonista e narratore se ne deve fare, nel corso delle pagine, molte di più e molto più cogenti. A tanti anni di distanza, infatti, riceve una lettera da un avvocato che lo avverte che la signora Ford (la madre di Veronica) l’ha nominato nel suo testamento, con una somma di denaro e il diario del giovane Adrian. Questi, infatti, è morto suicida ancor giovane prima di finire l’università. Su questi pochi dettagli scritti, Tony Webster deve tornare indietro nel tempo. Deve riprendere in mano i fili di una trama che aveva abbandonato da tempo. Scoprendosi non soltanto testimone d’eccezione ma anche protagonista a sua insaputa. Non posso aggiungere altro, ovviamente, per non togliere al lettore il piacere di una affascinante trama. Giocata, questa, non soltanto sulle sorprese, sulle agnizioni e i colpi di scena, bensì anche su uno stile colloquiale mai corrivo. Barnes (così come magistralmente reso dalla Basso) è un ottimo affabulatore. La sua lingua e il suo stile non servono a nascondere un vuoto. Bensì a sottolineare il significato ultimo del messaggio. E non un messaggio da poco, visto che il pensionato Tony Webster scopre alla fine di questa vicenda, che lo lega irrimediabilmente al destino di Veronica e Adrian, che “la nostra vita non è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato”.